Vincenzo Coviello comincia a manifestare i tratti di un personaggio dostoevskijano. La sua abitudine di consultare i conti correnti di migliaia di persone, comprese alte cariche dello Stato, risalirebbe a una patologia. Come il giocatore d’azzardo davanti alla roulette o alle slot machines, l’ex bancario non avrebbe resistito alla tentazione di ficcare il naso nei segreti finanziari cui poteva avere accesso. Racconta di essersi rivolto a un medico, che gli ha prescritto «una leggera terapia farmacologica che mi aiutasse a stare più tranquillo e facesse da freno a questa mia “compulsività” nell’effettuare nell’arco della giornata lavorativa, seppure per pochi secondi, queste attività di ricerche di dati, non sempre legate all’attività lavorativa specifica».
Poi ha interpellato uno psicologo: «Non nego che è stato molto difficile tenere a freno questa mia curiosità/compulsività». Un altro dottore gli ha suggerito una pausa dal lavoro, per «completare un percorso psicologico utile a conoscere il mio modo di essere affinché ciò che è successo non accada mai più, magari anche con un cambio di mansione».
Dipendente della banca Intesa-Sanpaolo, è stato licenziato l’8 agosto scorso. A settembre è scattata l’inchiesta penale con l’accusa di «procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato», relativa alla delicatezza e riservatezza dei dati da lui spulciati, come quelli personali del presidente del Senato.
Già a fine luglio, conscio dei guai in cui si era cacciato, Coviello aveva spedito una memoria difensiva alla sua banca. Adesso sono i suoi legali a garantire che si possa escludere «una attività di dossieraggio, di qualsiasi dimensione e natura, o che vi sia stata cessione di dati a terzi», come scrivono i suoi avvocati difensori Luigi Miani, Federico Straziota, Antonio Arzano e Domenico Lenato.
Prima ancora che il loro assistito compaia davanti al procuratore di Bari Roberto Rossi e all’aggiunto Giuseppe Maralfa, il pool di giuslavoristi tenta di limitare i danni mediatici. «Nel corso delle perquisizioni eseguite presso l’abitazione e altri locali in uso all’indagato», affermano, «non è stata rinvenuta documentazione attinente ai fatti per cui si procede».
“Solo curiosità”
Nel frattempo, i pubblici ministeri attendono l’analisi dei dispositivi elettronici sequestrati, essenziali per capire se la linea difensiva di Coviello possa o meno reggere.
“Per quanto riguarda gli inquiry relativi a personaggi pubblici”, ha scritto il commercialista nella memoria difensiva, “posso affermare con certezza di avere agito solo per motivi di curiosità, e non avere trasferito a nessuno le informazioni da me visionate; delle quali, peraltro, considerato anche il notevole lasso di tempo trascorso, posso affermare con assoluta certezza di non avere alcun ricordo. Sono pentito di quello che è successo”.
“Chiedo scusa a tutti”
“Chiedo scusa alla banca, ai colleghi tutti, ai clienti, consapevole di avere sbagliato ma allo stesso tempo certo che quei dati da me visionati, non solo non sono stati trasferiti a terzi, ma ovviamente non sono nella maniera più assoluta nella mia memoria”.
Nelle sue conclusioni, Coviello prova a confondere le carte in tavola chiamando a correo persone del suo ambito: “È capitato spesso che parenti, conoscenti, vicini di casa poco avvezzi all’uso della tecnologia mi abbiano spesso chiesto la cortesia di verificare informazioni relative al loro conto corrente, e che per non risultare scortese mi sia prestato a dare corso alle loro richieste”.