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Dell’Utri vuota il sacco: gli anni in carcere, la parabola di Berlusconi e un certo frequente peccatuccio…

L'ex Senatore Marcello Dell'Utri, 83 anni - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

Marcello Dell’Utri, sodale storico di Silvio Berlusconi e tra i fondatori, nel 1993, di Forza Italia, confessa i suoi peccati: «La masturbazione, per esempio. Quando ero in collegio dai preti mi minacciavano delle peggiori cose, è da allora che ho imparato ad ascoltare i precetti della Chiesa fino a un certo punto…». Intervistato da Antonio Polito per il Corriere della Sera, l’ex senatore parla a lungo delle sue frequentazioni assidue di tribunali, dello “stalliere” Vittorio Mangano e della vita in carcere.

Dodici procedimenti giudiziari, due condanne definitive, assolto quattro volte in Cassazione, ha patteggiato per fatture false e frode fiscale. Nel 2014 è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa; ne ha scontati quattro in carcere e uno ai domiciliari. La procura di Firenze ha di recente chiesto il suo rinvio a giudizio per violazione della normativa antimafia e per trasferimento fraudolento di valori. 

«I miei legali dicono che a giorni si pronuncerà, dopo dieci anni, la Corte Europea dei Diritti di Strasburgo sul mio ricorso contro la condanna. E la sentenza non potrà che ricalcare quella emessa per il caso gemello che ha riguardato Bruno Contrada (il dirigente di Polizia che era stato condannato in Italia a 10 anni in via definitiva per lo stesso reato, ndr): il concorso esterno alla mafia è un ossimoro, in Europa non riescono neanche a capire che cosa sia. Dunque, sarò finalmente riabilitato. E così Dio mi dirà: hai sofferto, ma grazie alla tua sofferenza ora ti meriti la beatitudine eterna».

«Ho sempre fatto ciò che sentivo giusto fare in quel momento. Non mi sono mai posto la domanda se commettevo reati. Sono stato avventuroso, lo ammetto. Avventuroso, per esempio, nel seguire Berlusconi in tutto e per tutto. Non mi sono mai chiesto se sostenerlo e aiutarlo nella sua incredibile capacità di fare era un reato».

L’intervista tocca un punto dolente della parabola berlusconiana: lo “stalliere” Vittorio Mangano. «Fattore, in realtà; lui si sarebbe offeso a sentirsi chiamare stalliere. Succede questo. Che nel ’74 io ero segretario di Silvio, e lui compra Villa San Martino. C’erano cento ettari di terreno, in gran parte occupato abusivamente da contadini, c’erano cavalli e cani. Berlusconi mi chiede di trovargli un fattore, ad Arcore non ci si riusciva. “Tu sei siciliano”, mi dice, “sicuramente conosci qualcuno”. E a me viene in mente Mangano. Lui accetta e viene su con moglie, suocera e due figli. Si rivelò molto capace, sia con i cavalli sia con i contadini. Era un personaggio inquietante, faceva paura, fisicamente imponente e dallo sguardo severo. E questo contò molto nella scelta. Così Silvio cominciò a usarlo anche come guardia del corpo per la moglie e i figli, quando andavano a Milano».

“Il mio eroe”

Dell’Utri una volta lo ha definito «un eroe»: «Non è esatto, io dissi “il mio eroe”. Perché, se avesse detto qualsiasi cosa contro di me e Silvio, anche non vera, lo avrebbero scarcerato subito. Non l’ha fatto, non accettò di mentire per salvare se stesso».

Lui il carcere lo ha conosciuto bene: «Un incubo assoluto. Se non sei ben strutturato ci puoi lasciare le penne. Anche se io ero in cella da solo, e c’è un detto tra i detenuti: “cella singola mezza prigione”. La cosa più degradante è convivere, in due, in tre, in quattro, in spazi così ristretti, in una tale forzata intimità. Non c’è nessuna forma di riabilitazione. Molti condannati diventano in carcere più delinquenti di prima. Ho ascoltato con le mie orecchie i piani di tanti che passavano il tempo preparando nuovi reati per quando sarebbero tornati liberi. Io mi sono salvato grazie al libro. Mi sono iscritto a un corso di laurea in Storia presso l’Università di Bologna. Quando studiavo, evadevo. Non ero più dietro le sbarre, ma libero, come se fossi stato a casa mia, a Milano o a Roma. Mi mancano ancora otto esami, magari a cent’anni mi laureo. E ho aiutato molta altra gente con i libri. Feci in modo che si aprisse un’aula per lo studio, e ancora oggi ricevo lettere di compagni di carcere che mi ringraziano, si sono laureati oppure hanno cambiato vita. Ho incoraggiato molti a studiare, a Rebibbia anche il comandante Schettino, che era molto abbattuto. Spesso i compagni venivano nella mia cella, aperta dalle 8 alle 20, per chiedermi consigli e informazioni di procedura penale, mi portavano le loro carte processuali. Una volta si presentò un ergastolano a chiedere aiuto. Gli chiesi che avesse fatto. E lui: “Niente, sono innocente. Facevo l’imprenditore ad Avellino, ero in causa per un edificio e il mio avvocato mi garantiva che l’avremmo vinta. La perdemmo e mi disse che l’avremmo vinta in Appello, perdemmo anche in Appello e mi disse ora vinciamo in Cassazione. Quando abbiamo perso anche lì gli ho sparato”. E voleva da me che gli trovassi un buon avvocato… Quando sento i politici parlare di riforma carceraria, mi verrebbe da dire: passate prima tre mesi in carcere, così capite che le vostre sono solo cazzate. Non dico come Ilaria Salis che il carcere va abolito; ma rivisitato, questo sì. La riabilitazione è fatta di due cose: studio e lavoro. Non ci sono altre strade». 

Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri – Fonte: Ipa – Dillingernews.it

Gianni Letta “SmorzaItalia”

Sul vociferare che Forza Italia e i figli del cavaliere tramerebbero trappole per Giorgia Meloni, ribatte drastico: «Tutte fesserie. Che interesse avrebbero a farlo? Basta che Marina incontri Draghi perché ci si chieda che cosa c’è dietro. Ma dietro non c’è niente, magari hanno parlato di fare un libro per Mondadori. I figli di Silvio non entreranno in politica, sanno che sarebbe fuori luogo. Devono pensare all’azienda e guidarla come faceva il padre. Il quale fu costretto a scendere in campo».

Di Antonio Tajani dice che «è bravo, per carità, ma quando hai sul simbolo la scritta “Berlusconi presidente” non è che come leader puoi fare molto di più. Il partito gode della rendita di posizione di rappresentare, da solo, il moderatismo italiano. Basta non fare errori… Ai nostri tempi era diverso, c’era Gianni Letta, noi lo chiamavano “smorzaitalia” perché era un vero democristiano, amico di tutti e capace di farsi benvolere da tutti. Si scriveva “governo Berlusconi” ma in realtà era un “governo Letta”, era lui che aveva il libro delle nomine. A mezzanotte si presentava da Silvio: lui proponeva e Berlusconi firmava».

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