Condannato all’ergastolo, senza attenuanti. Questa la sentenza dei giudici di primo grado della Corte d’Assise di Venezia su Filippo Turetta, condannato per l’omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa dal 23enne con 75 coltellate.
Turetta, reo confesso, era in aula al momento della lettura del dispositivo. C’era anche il padre della vittima, Gino Cecchettin. Turetta era accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dall’efferatezza, stalking, sequestro di persona, detenzione d’armi e occultamento di cadavere.
Il pm nella requisitoria aveva detto che “l’ergastolo nel nostro Paese non è più tecnicamente un fine pena mai”, perché ci sono istituti di lenimento della perpetuità della condanna, la semilibertà e la liberazione condizionale. Ma l’ergastolo, aveva replicato il legale di Turetta, è comunque “un tributo che si paga all’ideologia della pena vendicativa”. Il 26 novembre scorso il difensore aveva cercato di smontare i punti sui quali poggiano le aggravanti: la premeditazione, la crudeltà, gli atti persecutori, lo stalking.
Dall’altra parte secondo la pubblica accusa Filippo “premeditò con crudeltà l’uccisione di Giulia”, proprio per quella lista dell’orrore. Un omicidio quindi punibile con l’ergastolo, a cui poteva rinunciare con tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere. Filippo dal 25 novembre 2023 è nel carcere di Verona.