Apprendiamo nuovi risvolti dell’indagine che ha portato agli arresti domiciliari di Suor Anna Donelli, disposti dalla Procura di Brescia in relazione al presunto gruppo, legato alla ‘ndrangheta, della famiglia Tripodi, una delle consorterie più potenti d’Italia, originaria della Calabria. La religiosa sarebbe stata «a disposizione del sodalizio per garantire il collegamento con i sodali detenuti in carcere».
La custodia cautelare deriverebbe dall’accusa di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, basata su varie intercettazioni in cui i Tripodi la definiscono «una di noi: se ti serve qualcosa dentro è dei nostri».
La Procura di Brescia ha inoltre fatto scattare una trentina di arresti e il sequestro di quasi due milioni di euro. Contestati a vario titolo i reati di rapina, estorsione, usura, fatture false, traffico di armi e droga e voto di scambio.
Da tempo volontaria nelle carceri bresciane e a San Vittore, suor Anna avrebbe messo a disposizione del gruppo criminale «la propria opera di assistenza spirituale nelle case circondariali e di reclusione per veicolare messaggi tra appartenenti all’organizzazione criminale e i soggetti detenuti in carcere». Per fornire inoltre «informazioni utili per meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative e dell’Autorità giudiziaria».
Il pm titolare dell’inchiesta Teodoro Catananti, con il collega Francesco Carlo Milanesi, ha confermato: «Si è messa in qualche modo a disposizione del clan per veicolare informazioni dal carcere al gruppo dei Tripodi».
“Radicamento di organizzazioni criminali”
Stefano e Francesco Tripodi, padre e figlio calabresi, di base a Flero, in provincia di Brescia, dove risultano a capo dell’azienda Stefan Metalli, sarebbero legati alla cosca Alvaro di Sinopoli. Secondo il procuratore capo di Brescia Francesco Prete, «è un’indagine che conferma il radicamento di organizzazioni criminali che trovano articolazioni anche in questo territorio. Parliamo di soggetti legati alla ‘ndrangheta che avrebbero sfruttato la fama criminale dell’organizzazione d’origine, adeguandosi al territorio del nord dove si occupa di materia fiscale».
Ai domiciliari anche due politici locali, l’ex consigliere comunale di Brescia in quota Fratelli d’Italia Giovanni Acri e Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega nel Comune di Castel Mella. Gli inquirenti sostengono che Acri si sarebbe messo a disposizione del gruppo ‘ndranghetista, guidato dai componenti della cosca calabrese Tripodi, nella veste di medico, la sua professione, «al servizio anche in occasione di ferimenti degli appartenenti al sodalizio e dei loro complici durante l’esecuzione di reati».
“I soldi ce ne sono un sacco”
Le accuse a Galeazzi sono riferite al 2021, quando si era candidato sindaco nel paese di Castel Mella. A lui si sarebbe rivolto il capo della cosca Stefano Tripodi, che gli avrebbe proposto «di procurargli voti in cambio dell’ottenimento di appalti pubblici qualora fosse stato eletto. Ti faccio votare da tutti i calabresi della zona ma poi tu fammi mettere le mani sui soldi». «I soldi ce ne sono un sacco», avrebbe assicurato Mauro Galeazzi.