Home Celebs Musica Ornella Vanoni: “Gino Paoli ha imparato da me a fare l’amore”

Ornella Vanoni: “Gino Paoli ha imparato da me a fare l’amore”

Sanremo. Ornella Vanoni, 90 anni - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

Se non ci fosse bisognerebbe inventarla, una donna come Ornella Vanoni, a novant’anni suonati più lucida di una ragazzina. Nel suo incantevole appartamento in Largo Treves, sono passati i big della politica, della cultura e dello spettacolo, perché il suo più che un “salotto buono” era uno spazio per le intelligenze.

Per intervistarla, Aldo Cazzullo del Corriere della Sera avrebbe dovuto fare pochi metri a piedi, dalla sede del quotidiano. Ma ha cambiato casa: «Avevo trenta euro sul conto…».

Parlando di uomini, inizia con Strehler. «L’amore l’ho scoperto con Giorgio. Prima non sapevo cosa fosse. Quando lui mi disse “ti amo da impazzire”, fu come se si fosse rotto il carapace dentro cui ero imprigionata. Pensai: voglio stare con lui. Mi sentivo davvero amata alla follia; ed essere amate alla follia è bellissimo. Anche se Giorgio all’inizio era molto timido. Avevo tutti contro. La mia famiglia. La gente. Milano era indignata. La borghesia considerava il teatro un luogo di peccato; in realtà ci si fa un culo quadro, insomma, si lavora moltissimo».

I grandi amori: «Quattro. Strehler, Gino Paoli e altri due. E con tutti loro sono rimasta in contatto. Oddio, con Strehler fino a quando non è morto».

Paoli mi ha raccontato che grazie a lei ha imparato a fare l’amore.
«È vero, me l’ha detto. Ma dice pure che per causa mia ha cominciato a bere e a fumare. E questo, gliel’assicuro, non è vero».

Paoli racconta anche che in hotel a Viareggio scese per fare colazione in giardino e trovò lei e sua moglie Anna, sedute sul dondolo, che gli diceste: «Devi scegliere, o una o l’altra».
«Anna mi disse: senza Gino muoio, senza Gino non posso stare; e io mi sono fatta da parte. Ma pensa mica che Paoli si sia accorto di tutto questo? Lui era concentrato su se stesso. Dice che l’ho lasciato. Non l’ho lasciato; me ne sono andata: è diverso. E poi sentivo già odore di Stefania».

Conosceva la Sandrelli?
«No. Era un presagio. Gino alla Bussola era assediato dalle donne: il successo aiuta ad avere successo. Stefania si trasferì a Roma, e Gino ha voluto che andassi con lui a trovarla: “Desidero che tu partecipi alla mia vita…”. È anche sadico! (la Vanoni sorride)».

Con la Sandrelli siete diventate amiche?
«Non esageriamo: ci siamo viste due o tre volte, e lei non parlava, stava molto zitta. Comunque mi è sempre stata simpatica».

Con Mina invece eravate amiche?
«Ottime conoscenti. Ci alternavamo in tv a Milleluci. Le proposi: “Tu sei più forte di me, perché non facciamo il programma insieme?”. Accettò. Ero in vacanza a Paraggi, Gigi Vesigna mi diede la notizia: hai visto che Mina fa la trasmissione con la Carrà? Le telefonai: “Mina, allora è vero quello che si dice, che sei vigliacca”. E lei: allora è guerra? “No, è una constatazione”. E riattaccai».

Avete poi fatto pace?
«Certo, abbiamo anche cantato insieme. Lei mi diceva: “Ti vedo un po’ sciupata…”. Poi sussurrava: “Dovresti essere tu a dire a me che mi vedi un po’ sciupata”» (la Vanoni si produce in un’imitazione perfetta di Mina).

Quando Gino Paoli si sparò al cuore, lei andò a trovarlo in ospedale.
«Di notte, per non farmi fotografare, ed evitare che partisse il pettegolezzo: per chi si è sparato?».

Per chi si è sparato?
«Questo deve chiederlo a lui. Gino era in camera iperbarica e rideva come un matto. Mi scompigliava i capelli e diceva di me: “Sembra un setter, invece è un boxer! È il mio boxer!”».

Cosa intendeva dire?
«Il setter ha stile, eleganza. Il boxer è un caciarone bisognoso di affetto e di tenerezza».

Come immagina l’aldilà?
«Siamo energia, e l’energia rimarrà in circolo. Non ci saranno angeli che cantano. All’inferno però non posso andare».

Perché, non lo merita?
«No. Perché ho la pressione bassa, e non reggerei tutto quel caldo. Ho anche il giustificativo medico».

Come vorrebbe essere ricordata?
«Con un’aiuola. Il teatro Lirico l’hanno dedicato a Gaber, le due sedi del Piccolo a Strehler e a Grassi, la Palazzina Liberty a Fo e a Rame, lo Studio alla Melato. Per me non è rimasto niente. Per questo rivolgo un appello al sindaco Sala: mi dedichi un’aiuola in centro».

Non mi pare un grosso problema.
«Ma c’è una condizione».

Quale?
«Il sindaco non dovrebbe aspettare che io muoia. La voglio da viva. Adesso. “Aiuola Ornella Vanoni, manutenuta da lei”. Me ne prenderei cura di persona. Pianterei fiori e pomodori».

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