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Chi è e quanto vale Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata in Iran

La giornalista Cecilia Sala, arrestata in Iran e in cella d'isolamento - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

La giornalista italiana Cecilia Sala è in carcere, in una cella di isolamento, da una settimana. È stata portata nella prigione di Evin, quella dove vengono tenuti i dissidenti, e il motivo del suo incomprensibile arresto non è ancora stato formalizzato.

Per lei si stanno mobilitando Giorgia Meloni e Antonio Tajani. L’unica sua colpa pare essere fdi are il suo lavoro con indipendenza intellettuale e coraggio indomito sui teatri di guerra.

Prima di essere rinchiusa, Cecilia Sala ha postato sul suo profilo Instagram alcune testimonianze di grande valore. Le riportiamo di seguito.

La stand up comedian

“Ho incontrato una persona a cui ho voluto bene per anni da lontano. Si chiama Zeinab Musavi, è la stand up comedian più famosa d’Iran. È stata arrestata per le parole pronunciate da una maschera, uno dei personaggi dei suoi sketch – da allora ha accumulato un po’ di battute divertenti sulla vita da detenuti. Ha riso dei giorni in cella di isolamento: ‘Even this is funny?’, ‘Everything is funny’”.

La carcerazione preventiva è finita ma il processo davanti alla magistratura islamica è ancora in corso, per questo non era scontato che accettasse di incontrarmi, le sono grata per averlo fatto”.

“L’album di famiglia dell’Asse della resistenza – sono tornata a casa di Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran, dopo un anno in cui è cambiato tutto. Le fotografie della sua vita raccontano mezzo secolo di operazioni iraniane in Medio Oriente. C’è lui in Siria assieme ai generali ammazzati dagli strike israeliani nell’ultimo anno. C’è lui in Libano che addestra un Nasrallah con la faccia da ragazzino, all’inizio degli anni Ottanta e ancora prima che Hezbollah uscisse allo scoperto”.

“C’è lui con Amir-Abdollahian, l’ex ministro degli Esteri che era seduto accanto al presidente quando il loro elicottero si è schiantato. C’è Kanaani in Afghanistan durante l’invasione sovietica che fece 600mila morti, quando sia gli iraniani sia gli americani sostenevano i mujaheddin che combattevano l’Armata Rossa (e che poi cominceranno a combattersi tra loro, in una guerra civile dove alla fine prevarrà non la fazione più grande ma la più radicale: i talebani)”.

La caduta di Saddam Hussein

“C’è Kanaani in Iraq poco prima della caduta di Sammad Hussein, il vecchio nemico dell’Iran e il nuovo nemico dell’America. Dopo l’11 settembre 2001, la Repubblica islamica e gli Stati Uniti avevano due avversari in comune — i talebani in Afghanistan e Saddam in Iraq — e per un periodo collaborarono”.

Da un lato c’era il diplomatico Ryan Crocker e dall’altro il generale più efficiente e famoso d’Iran, Qassem Suleimani. Suleimani consigliava gli obiettivi da colpire, Crocker passava un po’ di informazioni sulle cellule di al Qaida in Iran da stanare”.

Il discorso di George W. Bush

Poi arriva un discorso famoso del presidente dell’epoca, George W. Bush, che parla di un ‘Asse del male’ e ci mette dentro l’Iran. Suleimani si arrabbia e si offende. Crocker dice: non avevo idea che il presidente avrebbe detto quello che poi ha detto”.

“Gli scambi finiscono e la Storia prende un’altra piega. Suleimani diventa l’architetto dell’Asse della resistenza — la galassia di milizie alleate di Tehran sparse per il Medio Oriente: da Hezbollah a Hamas agli houthi di Ansar Allah passando per Assad — che negli ultimi 14 mesi è stato smontato pezzo per pezzo quasi tutto. E gli amici di Kanaani sono quasi tutti morti”.

Il fascista

“Quando Ronen Bergman aveva 23 anni, Meir Kahane era stato da poco eletto alla Knesset. L’obiettivo politico di Kahane era la deportazione di tutti i cittadini palestinesi fuori dai confini dello stato. All’epoca il presidente, Ezer Weizman, si rifiutava di rivolgere la parola al parlamentare Kahane, che la maggioranza degli israeliani considerava un fascista, dunque un nemico”.

Quando Kahane interveniva dal podio della Knesset, i parlamentari del Likud, il partito di Netanyahu, lasciavano l’aula. Fu la destra del Likud a proporre di rivedere la legge elettorale affinché prima di tornare alle urne nel 1998 Kahane fosse squalificato dalla corsa – e lo fu”.

“Nel 1995 la madre di Bergman tornò a casa sconvolta dopo una conversazione con alcuni conoscenti, uno dei quali le aveva detto: “Non è un dramma se fra tante fazioni politiche ce n’è anche una che propone una soluzione radicale: deportare gli arabi”. La madre di Bergman è sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti e l’idea che qualcuno in Israele potesse ipotizzare una grande deportazione di cittadini su base razziale – tutti gli arabi in quanto arabi – le fece perdere il sonno.

Premio Pulitzer

Quest’anno Ronen Bergman, che ha vinto il Pulitzer per la copertura della guerra a Gaza, ha pubblicato un’inchiesta sul Magazine del New York Times dal titolo: “Gli impuniti. Come gli estremisti hanno preso il controllo di Israele”, frutto di un lavoro sul campo durato otto anni. Le fonti dell’inchiesta non sono le organizzazioni non governative, ma centinaia di uomini che lavorano per la sicurezza di Israele.

Bergman scrive per il New York Times e per Yedioth Ahronoth, è il giornalista con le fonti migliori negli apparati di sicurezza del suo paese e ha pubblicato il libro più importante sull’intelligence dello stato ebraico, Rise and kill first (in italiano: “Uccidi per primo”)”.

Un percorso doloroso

“Gli ho chiesto com’è accaduto che gli apparati abbiano fallito contro il terrorismo ebraico per decenni, fino a ritrovarsi i fan di Kahane e del terrorismo nel governo. È un percorso doloroso a tappe precise, tra gli anni Settanta e il pogrom di Huwara nel febbraio del 2023.

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