Il caso che ha indignato il mondo nel febbraio del 2024 è quello del dissidente russo Aleksei Naval’ny, con ragionevoli sospetti assassinato mentre era in regime di carcere duro nell’inferno di IK-3, penitenziario a sud-est di Mosca. Il tallone di ferro del presidente Vladimir Putin schiaccia chi osa criticare il regime da ormai 25 anni. Tra le sue prede spicca il caso del biologo 71enne Oleg Orlov, Nobel per la Pace 2022, anno in cui è stato arrestato per aver scritto un articolo sul “nuovo fascismo russo”.
Il 1° agosto 2024 è stato espulso dal carcere (ha rifiutato, come altri prigionieri politici, di chiedere la grazia) e non può tornare in Russia. «È il mio più grande desiderio», confessa al Corriere della Sera. «Mi manca la neve, le foreste, i miei cari. Ma se rientro mi arrestano, e sarebbe irresponsabile verso i prossimi scambi di prigionieri». Il caso di Cecilia Sala echeggia nella conversazione con l’inviata Irene Soave, che lo ha intervistato a Berlino. Di seguito, alcuni stralci dell’articolo.
Quanto è cambiato Putin in venticinque anni?
«A me, e a quelli attorno a me, era chiaro da subito che fosse un dittatore. Ma avevamo l’occhio allenato da anni di impegno politico, e stavamo in Russia. Dove i diritti vennero lesi subito; dove subito cominciarono le operazioni imperialiste nel Caucaso. L’Europa ha visto segnali preoccupanti, si è detta “non esageriamo” e ha continuato a comprare il gas».
Dopo questo quarto di secolo, i cittadini russi «sono annientati. Prima si è fatto largo il sentimento che dal singolo non dipenda nulla, e di qui l’abbandono della politica, il ripiego sul privato. Nel frattempo, le elezioni diventano una farsa, la guerra ti porta via parenti e amici, l’economia crolla… E resta la paura. La repressione voi non credo possiate capirla, ma funziona: nessuno fa più politica se il prezzo è così alto. Uomini del governo a livello locale controllano persino le conversazioni: era da Brezhnev che non si stava così».
A cosa state lavorando?
«A una serie di misure pratiche che andrebbero prese se Putin morisse. Un’amnistia, una nuova legge elettorale. È fondamentale non essere vaghi, anche perché siamo già sull’orlo di una catastrofe».
Cioè?
«Dopo Putin potrebbe benissimo venire un altro Putin. Qualcuno finora anodino, un senza nome che finora magari ha supportato in silenzio la dittatura e potrebbe salire a galla nel potere magari con l’avallo di altre forze estere, di Paesi che formalmente continueranno a dirsi per la libertà in Russia ma nei fatti saranno contenti di poter riavere il gas a poco, il petrolio a poco, al prezzo irrilevante di qualche dissidente in carcere. L’opposizione potrebbe non farcela nemmeno se Putin muore. E voi, cari compagni occidentali, dovrete vedervela con qualche nuova guerra».
È sempre stato così pessimista al riguardo?
«No, ma in questi mesi è andato tutto in questa direzione. L’elezione di Donald Trump. La politica internazionale che vira a destra. La morte di Navalny. Se fosse stato vivo, lui sì avrebbe potuto federare l’opposizione e guidarla alla vittoria. Anche dall’estero».
La prigione, lo scambio, la nuova vita all’estero. Come ha elaborato questi mesi?
«La prigione è stata umiliante, crudele. Spaventosa. Spesso i prigionieri politici stanno in isolamento, con trattamenti disumani. Ma sono sorpreso di esserne uscito meglio di come io stesso mi aspettassi».
Una giornalista italiana, Cecilia Sala, è in cella d’isolamento in Iran. Che consiglio le darebbe?
«Mi dispiace. È importante non disperare, ricordarsi chi si è e sperare che si verrà liberati. Molti disperano presto. Non aiuta».