Ci sono storie che un giornalista preferirebbe non raccontare, realtà che non dovrebbero esistere. Pakhshan Azizi, 40enne operatrice umanitaria in Iran, salirà sul patibolo: «Confermata la condanna a morte».
Attivista curda nata a Mahabad, è stata arrestata a Teheran il 4 agosto 2023 con il padre, la sorella e il cognato. La compagna di cella Sepideh Qolian ha scritto una lettera per sostenere la sua causa: “Temono queste donne perché sanno che le voci che sorgono da un secolo di oppressione hanno un’eco nelle strade. Sanno che Donna, Vita, Libertà non è solo uno slogan che passa di mano in mano, di voce in voce”.
Quattro mesi in isolamento
Dopo l’arresto, Azizi ha patito quattro mesi in isolamento nel carcere di Evin, per poi essere trasferita nel reparto femminile della prigione. La stessa dove è stata detenuta per 21 giorni la giornalista italiana Cecilia Sala. Azizi è accusata di appartenere a gruppi impegnati in attività armate contro la Repubblica islamica.
Il suo avvocato Amir Raeisiian traccia un quadro del suo campo d’azione. Ha lavorato nel Kurdistan iracheno e nel nord della Siria, in particolare nei campi profughi di Sinjar. Si è dedicata agli sfollati in fuga dalla violenza dello Stato islamico. Non farebbe parte di nessun gruppo armato, né sarebbe un soggetto pericoloso. È un’attivista e difende i diritti delle donne. La Corte suprema della Repubblica islamica ha comunque sentenziato: verrà impiccata.
“Sentenza illegale”
Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della ong Iran Human Rights, denuncia: «Questa sentenza illegale, emessa per instillare paura nella società e prevenire nuove proteste, deve essere condannata dalla comunità internazionale. Solo aumentando il costo politico per la Repubblica islamica tali atrocità potranno essere eliminate».
Le esecuzioni in Iran nel corso del 2024 si sono impennate: morte sulla forca 901 persone. A dicembre, in una settimana sono state giustiziate quaranta persone. È raddoppiato anche il numero delle donne impiccate: 34. Quest’anno è stato già messo il cappio al collo di 40 condannati. La maggior parte delle impiccagioni è giustificata adducendo reati connessi alla droga, ma nella lista ci sono anche i dissidenti e gli uomini e le donne che hanno preso parte alle proteste del 2022, scoppiate dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini.