Home CRONACA Guerra Israele-Hamas, un accordo che reggerà alla Storia?

Israele-Hamas, un accordo che reggerà alla Storia?

Grande festa nella Striscia di Gaza per l'accordo Israele-Hamas - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

«Accordo epico». Donald Trump commenta con enfasi il cessate il fuoco approvato da Israele e Hamas. Sono davvero finiti questi 467 giorni di guerra, costati 46.700 morti nella Striscia di Gaza? Paiono tutti fiduciosi, da Joe Biden ai vertici di Tel Aviv. Stride la dichiarazione del capo negoziatore di Hamas, Khalil al-Hayya: «A nome di tutte le vittime, di ogni goccia di sangue versata e di ogni lacrima di dolore e oppressione, diciamo: non dimenticheremo e non perdoneremo».

Joe Biden rivendica il merito della risoluzione, si dice «completamente fiducioso» che il cessate il fuoco reggerà. «È stato uno degli accordi più difficili della mia carriera», dice il presidente a 4 giorni dal trasloco dalla Casa Bianca. «Gli Usa parteciperanno alla prima fase del rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas a Gaza». Sottolinea che l’accordo prevede «esattamente» tutti i punti dell’intesa da lui proposti a maggio 2024.

«Questo epico accordo avrebbe potuto realizzarsi solo in seguito alla nostra storica vittoria di novembre», obietta Trump a Biden. «Con questo accordo in atto, il mio team per la sicurezza nazionale continuerà a lavorare a stretto contatto con Israele e i nostri alleati per garantire che Gaza non diventi mai più un rifugio sicuro per i terroristi. Continueremo a promuovere la pace attraverso la forza in tutta la regione, mentre sfruttiamo lo slancio di questo cessate il fuoco per espandere ulteriormente gli storici accordi di Abramo. Questo è solo l’inizio di grandi cose a venire per l’America e, in effetti, per il mondo!». 

Ed ecco il presidente israeliano Isaac Herzog, che si rivolge con vibrante retorica alla Nazione: «Sorelle e fratelli, cittadini di Israele, siamo in un momento cruciale. Per centinaia di giorni, le nostre sorelle e i nostri fratelli sono stati detenuti e tormentati da vili assassini, dopo che lo Stato di Israele ha fallito nel suo dovere e nel più fondamentale patto tra uno Stato e i suoi cittadini: quando non li ha protetti e non ha impedito il loro rapimento. Offro il mio supporto al primo Ministro e al team di negoziazione per finalizzare questo accordo e chiamo il gabinetto e il governo ad approvarlo per riportare a casa i nostri figli e le nostre figlie: questa è la mossa giusta, importante, necessaria».

«La tregua a Gaza inizia domenica», specifica il primo Ministro del Qatar Mohammed Al Thani, mentre nella Striscia la popolazione scende in piazza per fare festa. La televisione pubblica egiziana Al Qaera scrive su X che “l’accordo pone l’accento sulla ricostruzione della Striscia di Gaza, sull’apertura dei valichi di frontiera e sull’autorizzazione alla circolazione di persone e beni. L’intesa sottolinea il ritorno di una calma duratura nella Striscia di Gaza al fine di raggiungere un cessate il fuoco permanente e il ritiro delle forze dell’esercito di occupazione”. La bozza d’accordo prevede tre fasi, con una prima tregua di 42 giorni durante i quali sono previsti il graduale rilascio dei primi 33 ostaggi e l’inizio del ritiro delle forze israeliane. Parallelamente, Israele dovrebbe scarcerare quasi 1.200 detenuti palestinesi. E si pensa già al dopoguerra: il segretario di Stato Usa Antony Blinken prospetta un piano per affidare la gestione all’Anp affiancata dall’Onu, fino alla nascita di uno Stato palestinese che comprenda Gaza e Cisgiordania. Il primo ministro dell’Anp Mohammad Mustafa è tassativo: «Gaza sarà amministrata da noi e non sarà accettabile nessun’altra soluzione».

La speranza

Il mondo spera che tutto fili liscio, ma nella stessa notte degli ultimi ritocchi al negoziato, Israele bombardava ancora la Striscia. Dall’anno della fondazione dello Stato di Israele, il 1948, si sono susseguiti conflitti quasi continui, prima con gli Stati Arabi confinanti, poi con i palestinesi dell’Olp di Yasser Arafat, la prima e seconda intifada e gli accordi di pace di Oslo del 1993, mai diventati definitivi. La fragilità degli armistizi, in questo quadro, è dimostrata dalla Storia.

Scrive Federico Rampini per La repubblica: “Una constatazione si impone. Questo accordo, con questi termini, queste condizioni, questi contenuti, sarebbe stato possibile probabilmente due mesi fa, tre mesi fa, forse anche prima. Perché proprio oggi, cioè a pochi giorni dall’Inauguration Day di Donald Trump?. Beh, lo ammettono gli stessi esponenti dell’amministrazione Biden, amministrazione uscente, che c’è stata una collaborazione tra le due squadre, squadra Biden e squadra Trump. E che l’intervento della squadra Trump ha contribuito. Perché questo ruolo di Trump è stato decisivo? E sicuramente lo si legge nella tempistica. Perché da una parte c’è stata la minaccia di Trump, rivolta ad Hamas e cioè liberate ostaggi o ci sarà una tempesta in Medio Oriente, e questo può avere pesato”.

Striscia di Gaza. Bombardamento israeliano contro la caffetteria Lorence a Deir al-Balah, il giorno prima dell’annuncio dell’accordo – Fonte: Ipa – Dillingernews.it

Trump “rassicurante” per Netanyahu

“D’altra parte, c’è anche tutto ciò che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca rappresenta sul fronte israeliano, e cioè per Netanyahu è più facile ammorbidire le resistenze della componente più di estrema destra, più oltranzista della sua coalizione di governo, sapendo che c’è Trump in arrivo alla Casa Bianca. Questo può significare tantissime cose. Da una parte, appunto, un presidente così marcatamente, notoriamente filoisraeliano che ha sempre appoggiato Israele, che ha sempre appoggiato proprio Netanyahu, è un elemento rassicurante per la coalizione di governo, anche per gli alleati più estremisti di Netanyahu”.

“E d’altra parte poi ci sono tutte. Un futuro che in Medioriente può vedere anche forse un intervento di Israele contro il piano nucleare dell’Iran con una copertura americana. Questa è una delle congetture che si fanno a Washington e in tutto il Medioriente. Un futuro che può anche voler invece richiamare in causa e in gioco l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman in un ruolo più attivo nella ricostruzione di Gaza. Perché l’Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman è un altro grande amico di Donald Trump”.

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