Prima l’ok del gabinetto di sicurezza israeliano pur con la bocciatura dell’estrema destra, a notte fonda l’approvazione del governo di Netanyahu al cessate il fuoco con 24 ministri favorevoli e 8 contrari. Alle 12,15 di domenica 19 gennaio dovrebbe scattare lo stop alle ostilità e, alle 16, i primi scambi di ostaggi e prigionieri. Restano profondi dubbi sulla possibilità di una pace che non si riveli “a scadenza” e un cruciale ago della bilancia, ovvero Donald Trump.
Il premier israeliano ha purtroppo promesso al gabinetto «garanzie inequivocabili da Biden e Trump» sulle conseguenze di un’eventuale violazione delle condizioni di sicurezza da parte di Hamas: a quel punto, «l’Idf tornerà a combattere intensamente a Gaza con il sostegno degli Stati Uniti».
La tregua rischia di essere porosa e scalfibile per i compromessi che Bibi ha accettato con i ministri dell’ultradestra religiosa ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. Il secondo, il più irriducibile, avrebbe ritirato l’intenzione di dimettersi a patto che la guerra riprenda dopo 42 giorni. Ed è da qui che partono le perplessità sull’accordo, scandito per fasi che me comprometterebbero la solidità.
Secondo la bozza approvata a Doha, dal 16simo giorno della prima fase dovrà partire la discussione sulla seconda e sulla terza parte del piano, quelle che prevedono l’inizio della pianificazione sul “day after” a Gaza e la liberazione degli ultimi 65 ostaggi nelle mani di Hamas. Di cui una trentina, secondo le stime dell’intelligence, ancora in vita.
Ostaggi “innocui”
La prima lista di prigionieri palestinesi da liberare non riguarda persone considerate pericolose: si tratta di 95 donne e minori arrestati dal 2020. A seguire, l’elenco comprenderà soggetti controversi. Il capo dello Shin Bet Ronen Bar ricorda che la maggioranza di quelli rimessi in libertà nello scambio per Gilad Shalit nel 2011 sono tornati a compiere azioni contro Israele. Ma ha invitato il governo a votare per l’accordo: «Dobbiamo pagare questo debito morale. Questo accordo è eticamente e moralmente la cosa giusta da fare. È un accordo umano. Include meccanismi che garantiranno la nostra sicurezza».
La soglia del 42esimo giorno genera paure tra i palestinesi, memori del novembre 2023, quando nelle ultime ore dell’accordo Netanyahu rifiutò di cedere a Hamas che pretendeva di lasciare andare gli uomini anziani prima delle donne e tutto svanì nel nulla.
“I problemi che sorgeranno dopo la prima fase sono molteplici”, scrive, su Haaretz, Amos Arel. “Hamas manterrà la promessa di liberare tutti? Riuscirà a localizzare i corpi dei morti? E, ancora più difficile: le due parti – Netanyahu e Mohammed Sinwar – avranno davvero l’interesse a mantenere ciò che hanno promesso? Già in passato Netanyahu si è rimangiato la parola data. Sinwar da parte sua dovrebbe lasciare andare la migliore polizza di assicurazione che ha: gli ostaggi”.
Il favore dell’opinione pubblica
Giocano invece a favore la pressione americana, con Donald Trump poco desideroso di trovarsi di nuovo ad affrontare una guerra a Gaza; e l’opinione pubblica, con un sondaggio di Maariv che stima al 73 per cento la percentuale di israeliani che vorrebbe rivedere a casa tutti gli ostaggi. Senza contare che ci sono le elezioni in avvicinamento.
«È certamente una tregua fragile, anche se sospetto che potrebbe rivelarsi duratura», dice al Corriere il filosofo politico Michael Walzer, 89 anni, professore emerito di Princeton e autore di numerosi saggi. «Può suonare come una ragione cinica ma penso che Bibi preferisca in realtà fare un qualche tipo di accordo con Hamas anziché fare qualcosa che possa rafforzare l’Autorità Palestinese».
«È più probabile che raggiunga un compromesso o riconosca anche un qualche ruolo di Hamas in un futuro governo musulmano, cosa che ha giurato di non fare, piuttosto che fare quello che la terza fase di quest’accordo richiederebbe, cioè l’ingresso dell’Autorità Palestinese. E io temo che i sauditi potrebbero accettare qualcosa del genere. Non lo so. I miei amici ora ripongono le loro speranze nei sauditi, sperano che diranno a Trump: “Ok, puoi fare il tuo grande accordo solo se fai sì che Israele accetti l’idea di uno Stato palestinese”. Ma sospetto che Bibi preferisca qualcosa di meno».
Per il professore l’ipotesi dei due Stati è invisa a Netanyahu: «L’ha evitata per lungo tempo. Dividere e tenere Hamas e l’Autorità Palestinese in opposizione tra loro è stato parte della sua strategia».