Home EDITORIALI Il rapper iraniano Tataloo condannato a morte per blasfemia

Il rapper iraniano Tataloo condannato a morte per blasfemia

Il musicista iraniano Amir Hossein Maghsoudloo, 37 anni, nome d’arte Tataloo - Fonte: profilo https://www.instagram.com/amotataloo_org/?hl=en - Dillingernews.it

I nodi scorsoi nel famigerato Stato islamico dell’Iran sono sempre ben stretti e pronti, anche per uomini che avrebbero commesso reati solo di parola. Il cantante Amir Hossein Maghsoudloo, 37 anni, nome d’arte Tataloo, è stato condannato alla forca per blasfemia. La sua colpa fatale sarebbe aver insultato il profeta Maometto.

Era già stata emessa una sentenza a 5 anni di carcere, tranne che un procuratore aveva fatto ricorso ottenendo da un tribunale della Repubblica Islamica la pena capitale. Non rassicura apprendere che il verdetto non sia ancora definitivo e che il musicista avrebbe facoltà di ricorrere: in Iran raramente si risparmia il patibolo, il regime lo usa per seminare il terrore tra gli oppositori. E Tataloo, con il suo corpo interamente tatuato, vale come simbolo della dissidenza.

Estradato dalla Turchia

Originario di Teheran, Amir è stata una delle avanguardie della musica pop e rap in Iran, fin dai primi Anni 2000, con uno stile che mescola rap, pop e R&B. Rastrella 800 mila iscritti sul canale YouTube e circa 190 mila ascolti mensili su Spotify. Viveva a Istanbul dal 2018; la polizia turca lo ha estradato, su richiesta della magistratura islamica, a dicembre 2023

Da allora è in prigione in Iran, accusato anche di «promozione della prostituzione», propaganda antigovernativa e di aver diffuso «contenuti osceni». Eppure, l’ex presidente Ebrahim Raisi, morto in un incidente in elicottero nel 2024, lo aveva cercato per captare la benevolenza dei giovani: Tataloo era apparso in tv con Raisi stesso e aveva scritto un singolo a favore del programma nucleare iraniano.

Sessanta giustiziati nel solo 2025

Dai dati di Nessuno tocchi Caino, nel solo 2025 sono già state giustiziate 60 persone nel mondo. In Cina il 19 gennaio è stato messo a morte Fan Weiqiu, che alla guida di un Suv aveva travolto e ammazzato 35 persone nella città di Zhuhai.

L’associazione ha diramato un appello all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Vi si legge: “Attraverso il nostro monitoraggio quotidiano delle notizie sulla pena di morte possiamo documentare che almeno 818 esecuzioni sono state compiute quest’anno e che la magistratura iraniana ha condannato a morte sei prigionieri politici – Abolhassan Montazer, Pouya Ghobadi, Vahid Bani-Amrian, Babak Alipour, Ali Akbar Daneshvarkar e Mohammad Taghavi – dopo mesi di interrogatori e torture”.

“Le accuse contro di loro includono ‘appartenenza all’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (PMOI/MEK)’, ‘collusione e cospirazione contro la sicurezza nazionale’, ‘ribellione armata contro il governoì, ‘formazione di un gruppo per turbare la sicurezza nazionaleì e ìdistruzione di proprietà pubbliche con l’uso di un lanciagranate’. Queste condanne sono state emesse dal giudice Iman Afshari, capo del Tribunale rivoluzionario, sezione 26, di Teheran. Lo stesso tribunale ha condannato anche Mojtaba e Ali Taghavi, fratelli di Mohammad Taghavi, alla reclusione e all’esilio.

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