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Putin apre a Trump, ma per la pace in Ucraina a casa Zelensky

Vladimir Putin - (Fonte: Ipa) - Dillingernews.it

La strada della diplomazia è lastricata di posti di blocco e di passaggi a livello. Vladimir Putin vira e abbandona la linea di fermezza con gli Stati Uniti: la seconda presidenza Trump vale una possibile apertura a un confronto sulla fine della guerra in Ucraina.

Il presidente russo non si fa intimidire dalle «tasse, dazi e sanzioni se non verrà raggiunto un accordo», sventolate dal 47esimo presidente Usa. Per il portavoce Dmitrij Peskov, «nulla di nuovo. Restiamo pronti al dialogo su un piano di parità e nel rispetto reciproco».

Il suo ex “speechwriter” Abbas Galljamov crede che il Cremlino intenda uscire dall’isolamento e quindi Putin «per ora punta a non litigare con Trump». L’esercito avanza in Ucraina e lui, sicuro di una vittoria finale, non è disposto a fare concessioni.

Le condizioni intrattabili

Le condizioni che lo zar di tutte le Russie pianta su terreno come barriere di filo spinato sono da grande potenza, ricordano il dominio sul mondo di Roosevelt, Churchill e Stalin a Jalta, alla fine della Seconda guerra mondiale.

Primo: nuove presidenziali in Ucraina, per mandare a casa Zelensky, che non le ha indette nonostante il mandato scaduto avvalendosi della legge marziale. Secondo: sbarramento inviolabile all’ingresso di Kiev nella Nato. Terzo: alla larga l’Ue dai negoziati; si limitino a un faccia a faccia Trump-Putin.

Inoltre, Putin esige lo smantellamento delle forze ucraine e lo sloggiamento di truppe straniere dall’area. Sancisce la realtà de facto delle «nuove realtà territoriali»: oltre alla penisola di Crimea, le quattro regioni annesse nel 2022, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, compresa la parte che non controlla oltre l’attuale linea di contatto, la riva del Dnipro.

La sola concessione che Mosca tollererebbe è uno scambio tra il territorio che occupa a Kharkiv con la parte di Kursk sotto controllo ucraino, benché conti di riconquistarla prima di eventuali trattative.

Una nuova Jalta

L’ex segretario del Consiglio di Sicurezza russo Nikolaj Patrushev ha dichiarato di non escludere che «nel prossimo anno l’Ucraina cessi di esistere del tutto». Ribadendo che «i negoziati debbano svolgersi tra Russia e Stati Uniti, senza il coinvolgimento di altri Paesi occidentali. Non abbiamo nulla da discutere con Londra o Bruxelles». 

Sergej Karaganov, presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa, accentua la dose: «È necessario allontanare l’Europa dalla soluzione dei problemi mondiali. La pace potrà essere stabilita nel subcontinente solo quando la spina dorsale dell’Europa sarà nuovamente spezzata».

«Qualsiasi opzione di pace in cui un’Ucraina filo-occidentale sopravvivesse deve essere impedita a tutti i costi», scrive l’analista Dmitrij Trenin su Profil. «Per Mosca qualsiasi cosa che non sia una vittoria completa equivale a una sconfitta». Il politologo indipendente Fjodor Krasheninnikov paragona l’eventuale “patto d’acciaio” a una nuova Jalta: «Se tale “pace” venisse conclusa l’intero ordine mondiale del Dopoguerra crollerebbe».

In sincronia con il mutamento di linea, Putin liscia il pelo a Trump: «Non posso che essere d’accordo con lui sul fatto che se fosse stato presidente, se la sua vittoria non fosse stata rubata nel 2020, forse non ci sarebbe stata la crisi in Ucraina».

Il “pragmatico” Trump

Ricorda che Trump «introdusse un numero significativo, a quel tempo il maggior numero, di sanzioni contro la Russia», ma dubita che «prenda decisioni che danneggerebbero la stessa economia americana. Non è solo intelligente, è pragmatico. Non toccheremo questo argomento ora. Posso soltanto dire che vediamo dichiarazioni sulla sua disponibilità a lavorare insieme. Siamo sempre aperti».

Dal Cremlino nessuna pietà per Zelensky: «Riceve volentieri centinaia di miliardi dai suoi sponsor. Non è un angelo. Non avrebbe dovuto lasciare che questa guerra accadesse». Il leader ucraino, Intervistato dal Foglio, prova a stemperare i toni, augurandosi che «Meloni possa essere utile all’Ucraina, grazie al canale di dialogo privilegiato con Trump. Siamo tutti persone, Trump, Meloni e io, e i rapporti umani che siamo capaci di instaurare contano».

Strada sbarrata all’Italia filo-ucraina

Tuttavia, la preclusione dell’Ue ai negoziati comprende l’Italia, nonostante la «simpatia reciproca» di cui parla il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. «Sfortunatamente, le relazioni russo-italiane stanno attraversando la crisi più profonda dalla Seconda guerra mondiale e il governo di Roma ne è responsabile».

«Tenendo conto della posizione anti-russa assunta dall’Italia, non la consideriamo come un possibile partecipante al processo di pace, tanto meno una sorta di “difensore degli interessi della Russia nella Ue”». A La Repubblica Lavrov dice di non poter «congetturare quanto presto Roma si sveglierà e si renderà conto dell’enorme danno economico, sociale e reputazionale che la linea sconsiderata dell’“Occidente collettivo” sta causando per infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia».

«Non so immaginare quale ruolo potrebbe svolgere nella risoluzione del conflitto ucraino un Paese come l’Italia che, fin dall’inizio dell’Operazione militare speciale, è stato all’avanguardia di una linea ostile anti-russa e, non solo sostiene “a 360 gradi” e “per tutto il tempo necessario”, come ama dire Giorgia Meloni, il sanguinario regime neonazista di Kiev, ma gli fornisce anche sostanziali aiuti. Prima di tutto smetta di pompare Kiev con armi».

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