Lo tsunami Trump irrompe a tempestare i rapporti commerciali più critici degli Stati Uniti, fischiando il calcio d’inizio dei preannunciatissimi dazi. La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha smentito la Reuters (“dal 1° marzo”) e ha confermato la partenza il 1° febbraio.
I beni dalla Cina vengono così sanzionati del 10 per cento, quelli dal Messico e del Canada del 25. E The Donald non esclude che possano «aumentare nel tempo». Cannoni puntati anche sull’Ue; rispondendo alla stampa, il presidente ammonisce: «Volete la risposta vera o quella politica? Certo che imporrò dazi all’Europa, l’Europa ci ha trattati malissimo».
“Pronti a rispondere”
Il Canada reagirà con forza, anche se non si nascondono serie preoccupazioni: «Saremo pronti a rispondere, una risposta mirata, energica ma ragionevole e immediata», assicura il premier dimissionario Justin Trudeau.
«Non è quello che vogliamo, ma se si muoverà, agiremo anche noi. Non cederemo finché le tariffe non saranno rimosse e, naturalmente, tutto è sul tavolo».
«Non voglio indorare la pillola», conclude prudente Trudeau. Il 75% di tutte le esportazioni di beni e servizi canadesi si riversano negli Stati Uniti, perciò l’economia sarebbe gravemente colpita dai dazi di Trump.
Guerra degli alcolici
Doug Ford, il premier dell’Ontario, contrattacca ritirando gli alcolici americani dagli scaffali dei negozi della provincia canadese. Va tenuto conto che il Canada è il secondo mercato mondiale per gli alcolici americani (dopo l’Unione Europea ).
Anche Chrystia Freeland, l’ex ministro delle Finanze e probabile successore di Trudeau, esclude la resa: «Essere intelligenti significa reagire dove fa male. Il nostro contrattacco deve essere dollaro per dollaro e deve essere mirato in modo preciso e doloroso: i coltivatori di arance della Florida, i produttori di latte del Wisconsin, i fabbricanti di lavastoviglie del Michigan e molto altro ancora».
La presidente del Messico Claudia Sheinbaum, pur impegnata diplomaticamente con Trump fin da prima dell’elezione, avverte: «Se gli Stati Uniti impongono tariffe, il Messico è pronto e lo è da mesi».
Il grande problema del deficit
La politica è l’arte di mistificare le contraddizioni, lo dimostra l’accordo firmato da Trump nel suo primo mandato: l’USMCA, trattato tra Stati Uniti, Messico e Canada. «Il più equo, equilibrato e vantaggioso che abbiamo mai firmato», sostenne allora il 47esimo presidente.
L’obiettivo era contenere il grande deficit commerciale degli Stati Uniti. Ma quello con il Messico è aumentato da 106 miliardi di dollari nel 2019 a 161 miliardi di dollari nel 2023. Pure il divario con il Canada è più che raddoppiato: da 31 miliardi di dollari nel 2019 a 72 miliardi di dollari nel 2023. Facile dare una spiegazione: quasi il 60 per cento del petrolio importato dagli Stati Uniti è estratto in Canada.