Solo un leader della spregiudicatezza di Donald Trump può far passare un voltagabbana per un successo diplomatico. L’arma economica “fine di mondo” dei strombazzati dazi è già stata riposta nella fondina.
Al presidente della linea ultra-dura la notte avrà portato consigli, sta di fatto che ha sospeso per un mese le gabelle al Messico. Più complessa si presenta, al contrario, la questione Cina.
Si è appreso dalla presidente del Messico Claudia Sheinbaum, seguita dalla conferma di Trump. Il patto stipulato comporta la spedizione di 10 mila soldati messicani al confine con gli Stati Uniti, dispiegati per arginare il flusso di migranti e scongiurare l’infiltrazione illegale del fentanyl, detto “droga degli zombies”.
«Ho appena parlato con la presidente del Messico Claudia Sheinbaum”, si legge su Truth. “È stata una conversazione molto amichevole e lei ha accettato immediatamente la mobilitazione alla frontiera”.
Negoziati ai vertici
Il 47esimo presidente annuncia anche negoziati con le alte sfere messicane tra il segretario di Stato Marco Rubio, quello al Tesoro Scott Bessent e al Commercio Howard Lutnick. “Non vedo l’ora”, festeggia Trump, “di partecipare a questi negoziati con la presidente Sheinbaum”
La leader del Paese centroamericano illustra altri due punti dell’accordo: «Gli Stati Uniti si impegnano a lavorare per impedire il traffico di armi ad alta potenza verso il Messico. I nostri team inizieranno a lavorare oggi su due fronti: sicurezza e commercio».
«La sovranità non è negoziabile, un fattore indiscutibile è la dignità di un popolo, di una nazione e la sua sovranità. Ed in questa cornice sono stati raggiunti gli accordi».
Tregua anche col Canada
Si accoda Justin Trudeau, dopo una telefonata con Trump. «Il Canada sta prendendo nuovi impegni. Nomineremo un responsabile della questione del fentanyl, aggiungeremo i cartelli messicani alla lista delle entità terroristiche e lanceremo, con gli Stati Uniti, una forza d’attacco congiunta contro la criminalità organizzata, il traffico di fentanyl e il riciclaggio di denaro sporco».
La reazione di Pechino all’entrata in vigore i dazi Usa invece è dura e ferma. Il governo è corso immediatamente ai ripari con un pacchetto di misure che prendono di mira il carbone e il gas naturale liquefatto (Gnl), con aliquote del 15%, più un’ulteriore tariffa del 10% su petrolio, attrezzature agricole e alcune automobili.
Secco il ministero delle Finanze: le rappresaglie «sono state imposte per contrastare» i piani di Trump ed entreranno in vigore dal 10 febbraio.
Il ministero del Commercio e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi inoltre hanno disposto una tenaglia sui controlli alle esportazioni «di articoli relativi a tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio, al fine di salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali e di adempiere agli obblighi internazionali come la non proliferazione».