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Femminicidio di Sharon Verzeni, presto il processo al reo confesso: lo sfogo del fidanzato Sergio Ruocco

Sharon Verzeni, accoltellata a morte quando aveva 33 anni nel bergamasco - Fonte: Web - Dillingernews.it

Il 25 febbraio inizia il processo a Moussa Sangare per il femminicidio di Sharon Verzeni, ferocemente accoltellata nel bergamasco la notte del 30 luglio 2024, quando aveva solo 33 anni. Il reo confesso, arrestato un mese dopo il delitto, non diede spiegazioni, dichiarò di averla assassinata «per caso», mosso da «un’onda di emozioni».

Fermato e interrogato per varie settimane come “persona informata dei fatti”, il fidanzato della barista, Sergio Ruocco, non trattiene il suo sfogo e il tremito delle mani, intervistato dal Corriere della Sera.

Quell’anello pronto

Trentontenne, idraulico, Ruocco vive ancora con i purtroppo mancati suoceri, sul suo comodino una foto di Sharon. Evita di fare alcun cenno a Sangare, né sarebbe mai disposto a incontrarlo. Si commuove rievocando l’imminente proposta di matrimonio: «L’anello è a casa, glielo avrei dato in Grecia ad agosto, invece…».

Seguirà il processo? E cosa si aspetta? 
«Sì, ci sarò. Mi aspetto giustizia, l’unica cosa che ci resta. Lei non la ritroveremo più».

E cos’è giustizia per lei? 
«Io penso che dovrebbe passare in carcere fino all’ultimo giorno della sua vita. Ha fatto una cosa troppo grave, uccidere una persona senza una ragione. Non solo ha tolto la vita a lei (pausa di silenzio, piange, ndr), ma ha distrutto anche la mia, quella dei suoi genitori. In questi sei mesi è come se fossi morto anch’io».

La verità non l’ha aiutata? 
«La mia vita è cambiata totalmente e non riesco a trovare un senso. Mi sveglio la mattina e aspetto che la giornata finisca per andare a letto. Non ho più motivi per vivere, aspetto solo che i giorni passino. Magari in futuro le cose cambieranno, ma non so quando sarà questo futuro, se tra 10 o 30 anni. Nessuno può capire cosa proviamo, è qualcosa che nessuno si merita».

In cosa trovate la forza lei e i familiari di Sharon? 
«Restare insieme».

Per questo sta dai Verzeni? 
«Avevo pensato di tornare a Terno a gennaio, ma poi, dopo le feste, la mia situazione forse è persino peggiorata e non è il momento di tornare a vivere da solo. L’unica cosa, se non altro, è che non sento più su di me i sospetti».

Tutti si sono chiesti come si sia sentito, da innocente, a reggerne il peso. 
«I primi giorni è stato bruttissimo, non riuscivo a capire. Poi mi sono reso conto che era “normale” che ci fossero quei sospetti su di me, perché spesso, purtroppo, l’assassino è il compagno o il marito. La cosa più devastante è stata scoprire solo alle 16 del giorno dopo che era morta, ma ora so che i carabinieri dovevano fare bene il loro lavoro. E lo hanno fatto».

Se non avessero preso Sangare, avrebbe rischiato di restare un sospettato a vita: ha mai avuto paura di questo? 
«Dopo due o tre settimane sì, anche perché non riuscivamo a dare una mano alle indagini. Noi eravamo sicuri, però, che fosse uno sconosciuto. Sharon era talmente una brava ragazza, solare, timida, tranquilla, che nessuno poteva avercela con lei».

Come ha saputo del fermo? 
«Quella mattina alle 6.15, mentre uscivo di casa per andare al lavoro, è arrivata una giornalista. È stato strano perché non vi avevo mai visto a quell’ora. Mi ha chiesto un paio di cose e a un certo punto la mia risposta è stata: “Dopo un mese spero che Sharon ci dia un segnale per trovare il colpevole”. Poi, alle 11, mi ha chiamato sua mamma per darmi la notizia. Mi è sembrato il suo segnale».

Il suo primo pensiero? 
«Ho provato un po’ di sollievo, perché almeno i sospetti su di me sarebbero finiti».

Ha ricevuto solidarietà? 
«Tra Natale e l’ultimo dell’anno, un giorno sono andato a fare due passi alle Ghiaie di Bonate. Era un posto dove andavamo spesso Sharon e io. Ero un po’ giù e probabilmente dalla mia faccia si vedeva. Ho incontrato un uomo, poco più vecchio di me. Ci siamo incrociati sul marciapiede. Io sono passato, lui è passato. Dopo qualche secondo, mi chiama e torna indietro. Mi ha spiegato che non ci conoscevamo ma che aveva sentito della mia storia. Mi ha fatto le condoglianze e detto che riusciva a capire il mio stato d’animo, che non dovevo isolarmi. Ringrazio lui e tanti altri. Amici, colleghi, clienti».

C’è un ricordo di Sharon a cui è più affezionato? 
«Ogni tanto torno a Terno. Non riesco a starci molto, ma la ricordo sempre. La vedo seduta sul divano a guardare la tv, a tavola a mangiare».

Parla con lei? 
«Quando vado al cimitero e a casa a Terno sì».

Ripensa spesso all’ultima sera insieme? 
«A volte mi sento in colpa, mi chiedo se in qualche modo avrei potuto fare di più, dirle di non uscire così tardi. Però non è giusto nemmeno vivere segregati. Se non possiamo sentirci liberi, vuole dire che c’è qualcosa che non funziona in questo mondo».

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