Siore e siori, piccini e anziani, vicini e lontani, il gran carrozzone del Festival di Sanremo vi dà il 75esimo benvenuti. “Grazie dei fior” al Comune del sindaco Alberto Bianchieri; ogni riconoscenza a Mamma Rai, che investe ogni anno fior di quattrini e spedisce nelle prime file del teatro Ariston la crème de la crème dei suoi ammiragli; omaggi alle case discografiche e ai loro uffici stampa, deboli con i forti e forti con i deboli.
Testimoni ostinati a rimanere nell’anonimato raccontano del panico per il centro benessere dell’hotel scelto dal bravo presentatore Carlo Conti, flagello delle lampade abbronzanti, recordman del consumo di energia elettrica. Sanremo, si sappia, rispetta immancabilmente un copione preciso, con polemiche cronometrate per alimentare una sdrucciolante suspense.
È ancora prestino ma aspettiamoci i rumors sul cachet del lampadato, così come sugli incassi di Antonella Clerici, facendo finta di credere alla buona fede di Gerry Scotti che ha assicurato di andare sul palco a co-condurre gratis, ma qualcosa dovrà pure incassare come testimonial di aziende dai budget gonfi per le inserzioni pubblicitarie in tv.
Il buon Conti imperversa infatti già da un bel po’ alla guida di un’auto ibrida giapponese in uno spot-tormentone, alla faccia della presunta crisi del mercato di settore: i denari per coprire d’oro un conduttore si trovano sempre.
Il Festival è un appuntamento spietato con l’ingenuità di mezza Italia, felice e contenta di arricchire showman, cantanti, funzionari e aziende ligie alla regola “la pubblicità è l’anima del commercio”. Tutto garantito dalle risorse piovute da un pubblico coattamente pagante, da milioni di appartamenti che pagano il canone in bolletta.
Ogni volta poi a decantare l’efficacia del meccanismo di gara, il televoto etc, recitando la favoletta di risultati immuni da condizionamenti. Scordando che il suddetto pubblico pagante non può farsi un’idea delle canzoni, al massimo dei testi stampati alla vigilia da Tv Sorrisi & Canzoni. Mentre l’esimia schiera di penne privilegiate dei giornaloni le ascoltano in anteprima, scrivendo pagelle, emettendo giudizi, pronosticando favoriti. Un professore dell’Accademia della Crusca ha salvato poco e nulla dei brani in lizza, basandosi però solo sui versi.
Bazzicare per anni e anni la sala stampa dell’Ariston, appollaiata al secondo piano, dotata di maxichermo e file di banchi stile sagra di paese, tutto sommato ha persino qualche aspetto istruttivo. Per esempio, la dimostrazione che l’ufficio stampa Rai se ne infischia della democrazia.
La disposizione dei posti è rigidamente gerarchica: in prima fila la principale agenzia di stampa, insieme alle primedonne dei quotidiani, monopolisti anche della seconda fila. A seguire, le riviste più glam e in coda tutti gli altri.
Lateralmente, gli uffici stampa delle case discografiche, ossequiosi con i blasonati mass media, schizzinosi con le pubblicazioni anche di dimensioni medie, compiaciuti nell’obbligare inviati spesso più preparati delle grandi firme a interviste accovacciati sulle scale dell’Ariston, “ha massimo dieci minuti, mi raccomando”.
E che dire dei superospiti con il nuovo album in promozione, vedasi l’eterno gggiovane Jovanotti? O dei proclami trionfalistici per essersi aggiudicati i Duran Duran, quasi settant’anni per gamba? Mai come in questo 2025 Sanremo dimostra i suoi 75 anni, lampadato o meno.