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Maxi-retata a Palermo, 181 arrestati. Il procuratore De Lucia: “Mafia ancora viva e presente”

Al centro, il procuratore Maurizio De Lucia - Fonte: Ipa - Dillingernews.it

A Palermo, l’inchiesta condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunta Marzia Sabella ha fatto scattare 181 tra fermi e misure cautelari. «Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi», dichiara De Lucia, «dimostrano che Cosa nostra è viva e presente e dialoga con canali comunicativi assolutamente nuovi, fa affari e cerca di ricostituire il suo esercito».

«È un momento complicato per la vita di Cosa nostra e noi cerchiamo di renderlo sempre più complicato attraverso una serie di interventi che servono a contrastare i clan ma anche a processare, con le prove, chi partecipa a Cosa nostra».

Il Corriere chiarisce che gli indagati comprendono storici capimafia, estortori, trafficanti di droga, uomini d’onore di importanti «mandamenti» mafiosi come Porta Nuova, San Lorenzo, Bagheria, Terrasini, Pagliarelli.

Una rete di cellulari criptati

Dall’inchiesta si scoprono gli attuali affari dei clan che rimpinguano le loro casse con i soldi della droga, tornata centrale nell’agenda della mafia, che tesse alleanze sempre più strette con la ‘ndrangheta. E lancia l’allarme sulla rete di cellulari criptati trovati nelle carceri, dove i capimafia detenuti, grazie ad apparecchi sofisticatissimi, riescono a comunicare con l’esterno e a organizzare summit in video-chiamata.

Un boss, il capomafia di Porta Nuova Calogero Lo Presti, avrebbe addirittura commissionato un pestaggio attraverso il cellulare criptato assistendo poi all’agguato in video-chiamata.

Nelle pagine degli atti si legge anche la nostalgia per la mafia e i boss di Cosa nostra d’un tempo dei nuovi padrini. «Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro…livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando?», dice il capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano non sapendo di essere intercettato. «Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo».

«A scuola te ne devi andare…», prosegue Romano. «Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa…Per dire quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti. Se tu guardi Il Padrino, il legame che aveva… Non era il capo assoluto… Lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare?»

“Siamo gli zingari”

Poi la critica alle nuove leve. «Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti? Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia. Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri… Noi siamo gli zingari».

Tuttavia Cosa nostra è ancora in grado di fare soldi: col racket, con i giochi online, con il narcotraffico. «Mi senti, sta arrivando questo coso a fine … La settimana entrante … E ti devi organizzare per dove posarlo cose e poi smistarlo… In quattro, cinque colpi non te lo piazzi tu questo coso?», diceva non sapendo di essere intercettato, il boss Tommaso Natale. «Al volo, al volo! Minchia ti dico appena mi arriva i bagni ci dobbiamo fare!», rispondeva il suo fedelissimo. «Trecentomila euro a botta», spiegava, quantificando poi il guadagno.

All’assenza di personalità di spicco, i capimafia, nostalgici dei vecchi tempi, cercano fi far fronte con affiliazioni di qualità. Come quella di cui viene informato un capomafia. «C’è un picciuotto, tu non lo conosci. Guido si chiama, è bravo… A confronto di quello che c’era di qualche anno indietro, credimi, è trecento volte meglio. Guido è in gamba. Ce l’ha nel sangue lui questa vita diciamo… Capiscimi quello che ti voglio dire… E ti sto dicendo che è serio e speriamo per un futuro». E prossimo all’affiliazione sarebbe stato Salvatore Scaduto, figlio dell’ergastolano Giovanni, nonché nipote di Michele Greco «il papa».

È una cosa nostra sospesa tra il futuro, con i clan che comprano le armi sul dark web e usano cellulari non intercettabili, e il passato delle vecchie regole quella raccontata dall’inchiesta della Dda che svela come gli uomini d’onore professino ancora l’indissolubilità del vincolo associativo paragonato al sacramento del matrimonio.

«Cosa nostra? ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita», dice un uomo d’onore. Alcuni poi esprimono l’orgoglio per l’appartenenza alle cosche propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica. «Non ho mai creduto io nella cosa nostra ai fini di scopo di lucro», sostiene Gioacchino Badagliacca». Io ho sempre pensato che a me… Per nobili principi per me questo è quello che è Cosa nostra… Ci ho sempre creduto dal profondo del mio cuore, dico, e mi sono fatto dieci anni di carcere». «Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu», lo segue un altro, «perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la polizia». 

Ai soldi e al potere i clan non rinunciano. E, avvertiti di blitz imminenti e microspie degli inquirenti, pianificano fughe all’estero per mettere al riparo i guadagni accumulati. «Io me ne vado! L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino a oggi. Cominciate a farvi i passaporti», esorta uno degli arrestati.

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