Il fustigatore Mario Draghi torna sul piedistallo per vergare con il suo altero ego, sulle colonne del Financial Times, una reprimenda delle sue all’Europa. Potevamo forse prescindere dal suo insindacabile giudizio sulla questione dazi, tra le prime bombe sganciate da Donald Trump?
Titolo dell’editoriale, «L’Europa ha posto con successo i dazi su se stessa».
«Le ultime settimane», ammonisce l’ex primo Ministro per mancanza di voti, «hanno fornito un duro promemoria sulle vulnerabilità dell’Europa e la dipendenza dalla domanda estera. L’eurozona è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna».
«E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l’Ue prossima nel mirino. Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera».
Due gravi errori
Urge una svolta radicale per ovviare a due imperdonabili errori: «Il primo è la lunga incapacità dell’UE di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi. Il FMI stima che le barriere interne dell’Europa equivalgano a una tariffa del 45 per cento per la produzione e del 110 percento per i servizi».
Il secondo vulnus sono le normative Ue che avrebbero «ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee impedendo all’economia di liberare grandi benefici in termini di produttività». L’esempio che addita sono «i costi per conformarsi al GDPR, che si stima abbiano ridotto i profitti delle piccole aziende tecnologiche europee fino al 12 per cento».
«L’incapacità di ridurre le barriere interne ha anche contribuito a una dipendenza dell’Europa dal commercio che oggi in termini di Pil pesa il 55% nella zona euro, mentre in Cina è al 37 per cento e negli Stati Uniti solo al 25 per cento».