L’Europa è un’idea meravigliosa. Un sogno di pace, prosperità e libertà che si materializza in istituzioni comuni, diritti condivisi e un mercato senza barriere. Ma è anche una macchina burocratica affamata, un leviatano che dispensa finanziamenti con una generosità che sa tanto di ipocrisia: perché dietro ogni grande slancio europeista, c’è sempre qualcuno che paga il conto. E quasi mai chi lo incassa.
L’Italia
Prendiamo l’Italia. Da Bruxelles piovono miliardi, ci dicono. Fondi strutturali, PNRR, aiuti per la transizione ecologica. Ma chi li incassa davvero? Grandi aziende, ONG ben connesse, consulenti strapagati. E chi li paga? Il contribuente medio, il piccolo imprenditore strangolato dalla burocrazia, il commerciante che annaspa tra tasse e regolamenti sempre più asfissianti.
E poi c’è la guerra. Il conflitto in Ucraina, che a parole è “un problema globale”, nei fatti è diventato la partita personale di Washington e Mosca, combattuta sulla pelle degli europei. L’ultimo attacco con droni su Mosca – due morti, danni limitati ma un messaggio chiaro – è l’ennesima fiammata in un’escalation senza fine. E l’Europa? Applaude, si allinea, promette ancora più armi a Kiev, mentre le economie nazionali arrancano sotto il peso dell’inflazione e della crisi energetica.
Europeismo e Usa
Gli Stati Uniti si muovono con pragmatismo: parlano di sostegno all’Ucraina, ma quando si tratta di negoziare, sono i primi a inviare emissari a Mosca, come avverrà giovedì. L’Europa, invece, si trasforma nel miglior cliente del complesso militare-industriale americano, firmando assegni senza nemmeno leggere le clausole. E, ovviamente, con i soldi degli altri.
L’europeismo a buon mercato è diventato il rifugio perfetto per una classe dirigente senza visione. Ci si riempie la bocca di solidarietà, ma alla fine si fa sempre la carità con i soldi altrui e si gioca alla guerra con il futuro di interi popoli. Se la Germania esporta a mani basse grazie a un euro su misura, pazienza per le economie più deboli del Sud Europa. Se la Francia protegge la sua agricoltura a spese degli altri, è colpa del libero mercato. Se Bruxelles impone normative ambientaliste senza alternative concrete, chi ne paga il prezzo non è chi le scrive, ma chi deve applicarle.
Con la guerra lo schema si ripete
E ora, con la guerra, lo schema si ripete su scala ancora più grande. L’Europa non è il problema. Il problema è chi la usa come scusa per giustificare fallimenti nazionali e decisioni che premiano sempre i soliti noti. Essere europeisti non dovrebbe significare inginocchiarsi davanti a ogni diktat di Bruxelles o Washington, ma pretendere che questa unione sia davvero di tutti, non solo di chi può permetterselo. E soprattutto, che non serva a fare la guerra degli altri con il sangue e i soldi nostri.