Chi ha paura del “bacio del principe”? Di certo non Disney, che però sembra temere qualsiasi altra cosa. Il remake live action di Biancaneve — sì, quello senza nani, senza principe e senza Biancaneve (almeno come l’ha immaginata il mondo per quasi un secolo) — è il manifesto woke che nessuno aveva richiesto. Ma nonostante il dibattito feroce e le critiche da ogni fronte, il film è riuscito comunque a piazzarsi in cima al box office del Nord America e anche in Italia. Oltre 80 milioni di dollari incassati nel primo weekend. Ma per un film costato 270 milioni e in lavorazione da quattro anni, gridare al trionfo è forse prematuro.
Biancaneve così no, non ce la meritiamo
Metà dell’incasso arriva da tre Paesi: Stati Uniti, Canada e Messico. Secondo la BBC, il film non è tecnicamente un flop, ma nemmeno il successo che la Disney sperava. E pensare che le polemiche erano cominciate ben prima dell’uscita in sala.
Il problema, secondo molti, è che Biancaneve è diventato un contenitore di messaggi che nulla hanno a che fare con la fiaba dei fratelli Grimm. Primo fra tutti, il casting della protagonista: Rachel Zegler, attrice statunitense di origini colombiane, scelta per interpretare “la più bella del reame”, il cui nome nella storia originale viene proprio dalla pelle bianca “come la neve”. Una scelta applaudita da chi difende la rappresentanza, ma che ha scatenato un putiferio tra chi l’ha letta come un’anacronistica forzatura etica.
A peggiorare le cose ci ha pensato la stessa Zegler. Durante il tour promozionale, ha definito il classico Disney del 1937 “datato” e “strano”, con tanto di critica al principe “che letteralmente la perseguita”. Ecco perché, nel remake, l’amore è un optional: niente bacio, niente salvataggio, niente storia d’amore. Il principe esiste, ma fa tappezzeria. Biancaneve, ora, è l’unica artefice della propria salvezza. Non basta: anche il nome “Biancaneve” ha una nuova origine, derivata da una tempesta di neve. Altro giro, altra riscrittura.
Noi rivogliamo i 7 nani
E i sette nani? Spariti. Non c’è traccia né nel titolo né nel film. Al loro posto, creature magiche generate al computer. Una decisione che ha indignato anche alcuni attori affetti da nanismo, che hanno parlato di “opportunità mancata”. Per la Disney, invece, si è trattato di una scelta “inclusiva”.
Nel frattempo, anche le attrici si sono trasformate in simboli di contrapposte fazioni geopolitiche: Zegler è finita sotto accusa per alcuni commenti pro-palestinesi, mentre Gal Gadot, che interpreta la Regina cattiva, ha attirato critiche per il suo sostegno a Israele.
E se la trama è stata svuotata di ogni romanticismo, l’estetica non è andata meglio: secondo molti critici, la CGI è discontinua, la musica dimenticabile, il ritmo piatto. Le recensioni su Rotten Tomatoes sono impietose. Eppure, c’è chi salva il film, paragonandolo a precedenti live action di successo come La Bella e la Bestia. Ma il sospetto è che si stia premiando l’ideologia più che la narrazione.
Disney, intanto, tira dritto. E nel nome del politically correct continua a revisionare i suoi classici. Ma se anche Biancaneve deve passare attraverso il filtro del moralismo 2.0, viene da chiedersi quale fiaba resisterà ancora. Forse nessuna.