Sull’assassinio di John Fitzgerald Kennedy un’ondata di nuove conferme su cosa fosse realmente la CIA durante gli anni più caldi della Guerra Fredda. E su come, da Dallas all’Italia, passando per lo zucchero cubano e i microfoni nascosti nelle cabine telefoniche, l’intelligence americana fosse pronta a spingersi ovunque – e oltre.
I file desecretati martedì scorso dalla Casa Bianca – poco più di 64mila documenti su un totale di sei milioni – non riscrivono la scena del 22 novembre 1963, ma aprono squarci su un mondo parallelo fatto di azioni coperte, sabotaggi, influenze politiche e “interferenze creative”.
Ecco il contenuto dei dossier
Nel dettaglio, tra le carte spunta un promemoria del giugno 1973 richiesto dal direttore della CIA William Colby. L’elenco è lungo e inquietante: irruzioni nel consolato francese a Washington, tentativi di attacchi paramilitari contro impianti nucleari cinesi, e perfino l’inoculazione di un “agente contaminante” nello zucchero cubano destinato all’Unione Sovietica. La conclusione? Un commento sul predecessore John McCone e i suoi “rapporti con il Vaticano, tra cui Papa Giovanni XXIII e Paolo VI, che farebbero sollevare le sopracciglia in certi ambienti”.
Non è finita. In un documento del 1964 compare anche l’Italia. A Roma, l’agente FBI Benjamin McManus riporta di un incontro organizzato dal giornalista Gianfranco Corsini e dallo scrittore (nonché senatore del PCI) Carlo Levi, con ospite il noto attivista americano Mark Lane, autore di dieci libri sul coinvolgimento della CIA nell’omicidio Kennedy. Il report è stringato ma pesante: “Presenti circa 12 persone, molte delle quali membri del Partito comunista italiano o legati al PCI”.
C’è spazio anche per un altro omicidio eccellente, quello del dittatore dominicano Rafael Trujillo nel 1961: tra i file appena pubblicati ci sono nomi, numeri di previdenza sociale e dettagli sugli agenti coinvolti nel complotto. In altre parole: una vera e propria lista della spesa.
Ingerenze della CIA
E ancora: dossier sulle ingerenze della CIA in elezioni, movimenti sindacali e governi esteri. Brasile, Finlandia, Cipro, Grecia e Spagna, tutti nel mirino. Così come la Cina, con documenti che riportano l’attenzione su riunioni segrete del Comitato consultivo per l’intelligence estera del presidente USA nel ’62 e ’63, dedicate al monitoraggio dei programmi nucleari cinesi.
Molto dettagliati anche i file sulle tecnologie di spionaggio: dalla fluoroscopia a raggi X usata per individuare microspie, alla vernice visibile solo con la luce ultravioletta per marcare cabine telefoniche sorvegliate.
E naturalmente non poteva mancare Gary Underhill, ex analista dell’intelligence militare, che nel 1964 dichiarò che dietro l’assassinio di Kennedy c’era la CIA. Pochi mesi dopo si sarebbe “suicidato”. Un altro memo a suo nome è stato ripubblicato (era già noto dal 2017), stavolta senza omissis. Nessuna novità sostanziale, ma abbastanza per alimentare l’immaginario dei cospirazionisti.
Resta però una domanda centrale: perché, a oltre sessant’anni dalla morte di Kennedy, ci sono ancora documenti secretati? La legge del 1992 imponeva la pubblicazione integrale entro 25 anni, salvo eccezioni per motivi di sicurezza nazionale. Eppure una cinquantina di file rimangono ancora inaccessibili. Perché? Alcuni sono coperti dal segreto del gran giurì, altri provengono da archivi privati con vincoli temporali imposti dai donatori. Nel frattempo, l’amministrazione Biden ha promesso di completare l’iter. Ma nessuno scommette davvero su una completa trasparenza.
E allora, come sempre, la verità storica resta sospesa. E il mistero Kennedy, anziché spegnersi, si infittisce.