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Se nessuno li ascolta si fanno sentire da soli. Il grido dei ragazzi del Beccaria: “Il sistema carcerario non funziona”

È bastata la notizia di un trasferimento. Due ragazzi del carcere minorile Beccaria scoprono che verranno spostati a Catania. Nessuno li ascolta, nessuno li considera, nessuno li spiega nulla. E allora si fanno sentire da soli. A modo loro. Accendono la miccia – letteralmente – e la protesta comincia: materassi e lenzuola dati alle fiamme, urla, piastrelle lanciate contro gli agenti. Un altro pomeriggio di rabbia e fumo nella periferia ovest di Milano. Un altro segnale ignorato da chi continua a non voler capire che se abbandoni gli ultimi, gli ultimi poi trovano il modo per parlarti. Anche bruciando le celle.

Caos al Beccaria

Succede tutto intorno alle 16. Scatta il caos. Il fumo comincia a salire dalle finestre al secondo piano. In via Calchi Taeggi arrivano carabinieri, ambulanze, sette squadre dei vigili del fuoco. Si temono fughe, ma stavolta non scappa nessuno. I ragazzi restano dentro. Battono le spranghe sulle inferriate e gridano: “Via, via! Il sistema carcerario non funziona”. Lo ripetono come un mantra disperato. Nessuno li ascolta.

Il bilancio: nove detenuti soccorsi, di cui uno trasportato in ospedale in codice giallo. Tre agenti della penitenziaria intossicati, come il medico del carcere. Anche due poliziotti colpiti da oggetti lanciati nelle prime fasi della rivolta finiscono in pronto soccorso. Alla fine, la situazione viene riportata sotto controllo in un’ora. Ma la domanda resta: quanto ancora devono resistere, prima che qualcuno intervenga?

Don Gino Rigoldi, storico cappellano del Beccaria, si presenta fuori dal carcere. “Non è un problema nuovo”, dice. E in effetti non lo è. Il 13 marzo un altro incendio, quattro detenuti intossicati, un agente coinvolto. Il 31 agosto, materassi dati alle fiamme e due ragazzi che arrivano a scavalcare il primo muro di cinta. Il 20 agosto, ancora scontri, otto feriti. A Natale di tre anni fa, sette evasi. Il Beccaria è diventato una polveriera. Una bomba sociale senza timer.

Le grida inascoltate dei detenuti

Eppure, il dibattito resta quello sbagliato. Il segretario del Sappe, Donato Capece, parla di “azioni irresponsabili e gravissime”, chiede di rivedere l’età dei detenuti minorili, oggi estesa fino ai 25 anni. L’assessore regionale Romano La Russa chiede “più controllo”, come se il punto fosse spegnere incendi e non capire perché quegli incendi continuano ad accendersi. Il sindaco Sala si limita a dire che l’istituto non è adatto e auspica un intervento del ministero. Ma la sostanza è un’altra: se nessuno si occupa davvero di questi ragazzi, loro continueranno a farsi giustizia da soli.

Le proteste al Beccaria non sono atti di vandalismo. Sono grida. Sono gesti che dicono: “Ci avete dimenticato”. E che fanno rumore. Rumore di fiamme, sirene, bastoni sbattuti sulle sbarre. Finché non si troverà il coraggio di affrontare la realtà: il sistema carcerario minorile in Italia è fallito. E la politica continua a voltarsi dall’altra parte, preoccupata più del fumo che dell’incendio che cova da anni.

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