Nell’era della sovraesposizione mediatica e delle crescenti minacce alla privacy, garantire sicurezza a chi vive sotto i riflettori è diventato più che un lavoro: è una missione. Un professionista della sicurezza personale non cerca visibilità né riconoscimenti, ma opera nell’ombra per permettere ai suoi assistiti di vivere con maggiore serenità.
Che si tratti di imprenditori, celebrità o persone coinvolte in situazioni di alto profilo, il compito di chi si occupa della loro protezione va ben oltre la gestione del rischio fisico. Si tratta di saper leggere le situazioni prima che diventino problemi, di instaurare un rapporto di fiducia totale con il cliente e, soprattutto, di agire con discrezione. Perché la sicurezza non è solo una questione di forza, ma di intelligenza, capacità di osservazione e controllo delle emozioni.
In questo contesto abbiamo conosciuto Roberto. Insieme a lui abbiamo esplorato cosa significa realmente lavorare nella sicurezza personale, quali sono le sfide più complesse da affrontare e perché, per chi sceglie questa professione, il senso di responsabilità supera di gran lunga il desiderio di protagonismo.
Conosciamo meglio Roberto
- Roberto, il tuo lavoro sembra orbitare attorno a situazioni delicate e, spesso, poco visibili agli occhi del pubblico. Cosa significa davvero “risolvere problemi” nel tuo mondo?
“Risolvere problemi è l’essenza di questo lavoro. Non si intraprende questa professione per la visibilità o per stare sotto i riflettori, ma per una vera e propria missione: garantire sicurezza e serenità a chi, per ragioni economiche, sociali o di esposizione mediatica, si ritrova improvvisamente a non poter più condurre una vita tranquilla. Anche quando questa “non tranquillità” può avere aspetti piacevoli, diventa essenziale proteggere la libertà e la riservatezza dell’individuo. Ed è in quei momenti che entro in gioco io”.
- Ci sono momenti in cui la tua presenza ha fatto la differenza per qualcuno che non poteva permettersi di fallire. Senza fare nomi, puoi raccontarci una situazione in cui il tuo intervento è stato determinante?
“Il mio è un lavoro che si svolge prevalentemente in solitaria, ma ciò non significa operare in isolamento. La capacità di collaborare con colleghi e, soprattutto, di instaurare un rapporto di fiducia totale con il cliente è la base per garantire la sicurezza sua e della sua famiglia. A tal proposito, una delle situazioni più complesse che ho affrontato non è derivata da un evento violento – poiché la gestione della forza deve sempre essere l’ultima opzione – ma da un episodio inaspettato: il figlio di un mio cliente, ancora molto piccolo, si era allontanato senza che la madre se ne accorgesse. In quel momento, mi sono trovato a gestire un problema che andava oltre il mio ruolo tradizionale. Senza poter entrare nei dettagli, posso garantire che la calma e la prontezza d’azione hanno permesso di risolvere rapidamente una situazione che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi”.
- Il concetto di sicurezza personale va ben oltre l’idea di protezione fisica. Quanto conta l’intelligenza strategica rispetto alla forza bruta nel tuo lavoro?
“L’intelligenza situazionale e lo spirito di osservazione sono fondamentali in questa professione. Come già detto, l’uso della forza è sempre l’ultima risorsa: saper leggere gli eventi in anticipo consente di prevenire le criticità, risolverle nel minor tempo possibile e ridurre al minimo i rischi per il cliente. Il mio compito non è garantire la mia sicurezza personale, ma quella di chi mi affida la propria tutela”.
- Hai avuto a che fare con persone molto esposte, per cui ogni errore può trasformarsi in uno scandalo o in un pericolo reale. Qual è l’errore più comune che chi è sotto i riflettori commette senza rendersene conto?
“Oggi, chi è costantemente sotto i riflettori vive un pericolo continuo, non solo fisico ma anche mediatico. L’eccesso di esposizione può trasformarsi in un’arma a doppio taglio, amplificata da dinamiche come il politicamente corretto esasperato, spesso usato come strumento di attacco contro chi affronta la realtà con autenticità”.
- Un uomo come te deve sapersi muovere nell’ombra, ma ci sarà stato un momento in cui hai pensato: “Questa volta è stata davvero complicata”. Puoi darci almeno un dettaglio di quell’esperienza senza svelare troppo?
“La discrezione è la chiave del mio lavoro. Evitare di attirare l’attenzione è una priorità assoluta. Tuttavia, in un’occasione ho valutato la possibilità di uscire dall’anonimato per una ragione molto particolare: un coinvolgimento sentimentale con una cliente (il cui nome, ovviamente, non farò mai). Era una situazione complessa, ma con grande sforzo sono riuscito a mantenere la lucidità e a gestire quella relazione senza compromettere il mio equilibrio professionale”.