Il colpo è arrivato secco, e ha colpito al cuore l’industria automobilistica globale. Con un provvedimento che non lascia spazio a interpretazioni, Trump ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi al 25% su tutte le auto importate negli Stati Uniti e prodotte all’estero, oltre che su una serie di componenti chiave. La misura, destinata a entrare in vigore il 2 aprile, segna una svolta nella strategia commerciale e si preannuncia come una stangata per i grandi marchi europei.
Il piano di Trump sui dazi
Per il Vecchio Continente, in particolare, la notizia ha l’effetto di una doccia fredda. Gli Stati Uniti sono il primo mercato extra-Ue per l’export dell’automotive europeo, con un giro d’affari che nel 2024 ha toccato i 38,4 miliardi di euro. Una dipendenza che rende la filiera continentale – in particolare tedesca – vulnerabile al nuovo scenario protezionista.
Il piano prevede che il 25% si aggiunga al già esistente 2,5% imposto alle auto estere e al 25% che da anni colpisce i cosiddetti “autocarri leggeri”. Resteranno temporaneamente escluse solo le componenti provenienti da Messico e Canada. Questo grazie alle clausole dell’accordo di libero scambio nordamericano (USMCA). Ma anche questa esenzione è destinata a durare poco. La Casa Bianca ha chiarito che verrà ritirata una volta definito un processo per tassare il contenuto non statunitense di quei veicoli.
Le dimensioni del contraccolpo sono già scritte nei numeri: ogni anno, quasi 8 milioni di auto vendute negli Usa vengono assemblate all’estero per un valore complessivo di 244 miliardi di dollari. Il Messico è il primo esportatore, con modelli Toyota, Nissan, Bmw e Volkswagen. E anche i colossi a stelle e strisce non saranno immuni: General Motors assembla fuori dagli Stati Uniti circa il 40% dei veicoli destinati al mercato interno, Ford il 20%.
Alle spalle del Messico, nel ranking dei paesi esportatori, ci sono Corea del Sud, Giappone, Canada, Germania e Gran Bretagna. Per i componenti, oltre il 60% proviene dall’estero. E anche qui, il danno sarà diffuso.
Non solo Europa
Ma Trump tira dritto. “Tutti coloro che hanno impianti negli Usa saranno avvantaggiati”. Sottolineando che la decisione è parte di un piano per la reindustrializzazione del Paese. “Credo che la nostra industria dell’auto fiorirà come mai prima”, ha aggiunto.
Dall’altra parte del confine, però, non la vedono allo stesso modo. Il premier canadese Mark Carney ha parlato di “violazione e tradimento” degli accordi commerciali. L’auto, in Canada, rappresenta il 10% del manifatturiero. E garantisce 125.000 posti di lavoro, con il 90% della produzione destinata proprio agli Stati Uniti. In Messico la percentuale è simile.
A Bruxelles, intanto, si registra “profonda delusione”. E in Borsa il contraccolpo è immediato: nel dopo mercato, General Motors ha perso un altro 8%, mentre Ford e Stellantis hanno lasciato sul terreno il 5%.