Un padre che odia, che perseguita, che istiga alla violenza. Un figlio che sopravvive, che combatte, che denuncia. E un tribunale che, nero su bianco, certifica l’orrore: “condotta vessatoria e violenta”. Succede ad Asti, nel 2024. La storia è quella di Fabrizio Obbialero, 43 anni, chirurgo a Torino, omosessuale, che ha appena ottenuto una condanna simbolica ma clamorosa: il padre, 75 anni, dovrà risarcirlo per avergli rovinato la vita.
Un figlio da spezzare, letteralmente
Sì, proprio così: rovinato. Perché in questa vicenda non ci sono litigi familiari, non ci sono incomprensioni tra generazioni. Qui c’è una persecuzione sistematica, durata anni, culminata con un’idea precisa: spezzargli le dita. Il padre avrebbe assoldato un picchiatore, incaricato di inseguire il figlio e rompergli le mani. Solo che il sicario, dopo averlo pedinato, si è tirato indietro. Forse ha avuto un moto di coscienza. O forse, semplicemente, ha capito fin dove si stava spingendo.
“Se la prendeva con me, con il mio compagno, con mia madre”
“Ce ne sono stati tanti, tutti penosi: se la prendeva con me e con chi mi era accanto, che fosse il mio compagno o che fosse mia madre, che è sempre stata dalla mia parte fino a che non è morta per una malattia”, racconta Fabrizio al Corriere della Sera, assistito dall’avvocato Maximiliano Bruno. Il padre non si limitava alle minacce: pubblicava insulti su Facebook, scriveva frasi come “Il Profeta si fa le canne”, cercava in ogni modo di screditarlo pubblicamente.
Il punto di rottura è stato il coming out, durante la malattia della madre. “In cuor mio lo sapevo che mio padre non l’avrebbe presa bene. Quando ero piccolo e non volevo giocare a calcio ne fece un caso di stato: o ero un calciatore o ero un fr..o, diceva. Alla fine raccontai tutto perché non potevo sostenere una doppia vita in un momento così delicato come la malattia di mia madre”. Lei capì, lui no. “All’inizio non sembrava ostile. Poi, di punto in bianco, divenne rabbioso, insofferente. Non perdeva occasione per danneggiarmi. Se la prendeva anche con mia madre che era in cura. Fino a portarla alla morte”.