Trump ha fretta. Talmente fretta che non aspetta nemmeno le contromisure ai folli dazi che ha imposto al mondo. Israele chiama, lui risponde. E lo fa con la sua diplomazia preferita: spedire armi come fossero regali di nozze tra imperi stanchi. THAAD, Patriot, sorrisi a denti finti. Business as usual. Ma con la giacca della guerra addosso.
E quando The Donald ha fretta, vuol dire che sotto c’è qualcosa di grosso. Sempre. Di solito soldi, oppure voti. O peggio: una visione del mondo in cui i buoni sono armati fino ai denti e i cattivi si bombardano a colazione.
Netanyahu non ha tempo per le moine. Gerusalemme è una polveriera, Gaza è sempre sul punto di saltare, Hezbollah preme, Teheran minaccia, e dentro casa sua ci sono israeliani che marciano da mesi per difendere lo Stato di diritto da lui stesso. Eppure, eccolo ancora lì: faccia impassibile, mani sudate, e la certezza assoluta di essere indispensabile. Il Medio Oriente senza Bibi? Inimmaginabile, per lui. Come la Casa Bianca senza Trump, per Trump.
E allora eccoli: di nuovo insieme. Non è un incontro diplomatico. È un bromance post-democratico, una reunion tra due leader che sono diventati brand. Due ultrà della sicurezza nazionale con le mani impiastrate di religione, affari e propaganda. Due uomini che parlano di pace solo per mettere l’adesivo “Peace Talks” su un siluro cruise.
Il nuovo Asse del Delirio è servito. In un mondo dove le alleanze contano più dei trattati, e gli arsenali più delle Costituzioni, Trump e Netanyahu giocano a Risiko con la mappa vera. Il punto non è difendere Israele. Il punto è dimostrare al mondo che il Far West è tornato, e stavolta il grilletto ce l’hanno loro.
I Patriot sono solo il trailer. Il film lo stanno scrivendo con i tweet, le conferenze stampa, e le visite improvvise alle zone rosse del pianeta. E l’Occidente? Muto. L’Europa? Congelata, timorosa, schiacciata dalla sua stessa retorica dei valori. Continua a parlare di “soluzioni condivise”, mentre la realtà brucia e i droni decollano.
Altro che Terza Guerra Mondiale. Questa è una partita di poker tra vecchi gangster globali. E chi bluffa, lo fa con missili veri.
Il Medio Oriente non è più il campo della diplomazia. È il palco della rappresentazione bellica permanente. Trump fa il produttore esecutivo, Netanyahu la star principale. Gli alleati applaudono o distolgono lo sguardo, a seconda del prezzo del petrolio. Le Nazioni Unite sono in modalità silenziosa. Nessuno osa chiedere: e se a questo giro, vincessero davvero?
Nel frattempo, qui da noi, si manifesta contro il riarmo. Che cosa romantica. Si citano Kant, Pasolini, si fa yoga di gruppo contro l’imperialismo, si postano arcobaleni. Ma il mondo non gira su Instagram. Gira su chi ha più testate, più radar, più alleati con l’anello al dito.
Putin bombarda Kiev. Trump invia i Patriot. Netanyahu riceve sorridendo. E noi qui a discutere se sia etico vendere i cingoli a una democrazia zoppa.
Il 2025 non è l’anno della pace. È l’anno del ritorno degli uomini forti. Quelli che trattano con gli eserciti. Che firmano accordi col sangue. Che mettono le mani sulla Storia e se ne fregano dei like.
Chi non ci crede, può sempre aggiornare la bio con “pacifista convinto”.
Ma che non si lamenti quando arrivano i missili