Milano si rifà il trucco per la settimana del design, e come sempre esagera.
Non bastava essere la città più nevroticamente performativa d’Italia, ora per una settimana si traveste anche da capitale dell’estetica universale, con 1.600 eventi distribuiti in 18 quartieri, 350.000 persone attese, una metropolitana spinta al limite e un sindaco che ci invita a “camminare, andare in bici e avere pazienza”.
Pazienza?
Per chi vive qui, la Design Week è un incubo travestito da festival. È la Sagra del Branding, il carnevale del “networking creativo”, il Black Friday delle relazioni pubbliche.
Tortona, Brera, Isola: quartieri che per sette giorni diventano showroom di se stessi. Dove ogni portone può nascondere un’installazione “immersiva” (traduzione: buio, luci colorate e una scritta in Helvetica).
Il Salone del Mobile è ancora lì, a Rho Fiera, con la sua architettura ben educata e i contratti miliardari. Ma il vero zoo è il Fuorisalone: il circo dell’oggetto inutile, dove si celebrano brand che producono sgabelli da 4.000 euro e bicchieri progettati per “stimolare l’ascolto dell’acqua”.
È l’orgia della “creatività applicata”, che però applicata a cosa non è mai chiaro.
Forse al budget del cliente, forse alla noia del pubblico.
Il sindaco ci dice che “Milano magari non è brillante come un tempo, ma genera fermento”.
Ecco, appunto: fermento. Come il kefir. O il compost.
Però una cosa è vera: dietro questa overdose di vetro, resina e prosecco, Milano lavora.
È una città che produce, che costruisce relazioni, che macina opportunità.
E il Salone, con tutta la sua estetica da rendering e i suoi eventi che sembrano trailer di un film che non esisterà mai, è anche questo: una fabbrica di contatti, affari, commissioni.
C’è chi ci vive davvero. E non è quello che fotografa la sedia trasparente.
Ma per il resto di noi, che ci muoviamo tra un cocktail a invito e un bus bloccato da una “performance urbana” in via Savona, questa settimana è solo una lunga prova di resistenza.
Una città che diventa palcoscenico e dimentica, per un attimo, chi ci abita davvero.
Perciò, Dio ci salvi dalla Design Week.
E se proprio non può, almeno ci salvi dalla gente che dice “è tutto così stimolante”.