Il piano Kellogg: mezza Ucraina a noi, l’altra a Putin (ma guai a chiamarla spartizione)
Keith Kellogg – inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina, ex generale e attuale giocoliere della geopolitica – propone di risolvere la guerra con un déjà vu in salsa nucleare: dividere il paese come Berlino nel dopoguerra. Forze di pace franco-britanniche a ovest, soldati russi a est. E in mezzo? Il fiume Dnepr, promosso a muro naturale.
Altro che confine provvisorio: è un nuovo 1961, con meno ideologia e più cinismo. Un taglio netto, chirurgico, come se la storia non ci avesse insegnato nulla sul potere corrosivo delle linee tracciate a tavolino.
Kellogg, con la disinvoltura di chi mette bandierine sul Risiko, spiega che l’idea non è spartire il paese, ma “creare zone di responsabilità”. Una semantica di guerra travestita da diplomazia. C’è la zona russa, la zona francese, la zona britannica, quella americana. Manca solo il bar con la birra calda e siamo a Checkpoint Charlie.
A parole, la Casa Bianca frena: non è una spartizione, ripete il nostro emissario su X, è solo una “forza di resistenza post-cessate il fuoco”. Ma la mappa parla chiaro.
E mentre Francia e Regno Unito si offrono come pacieri armati – come se bastasse cambiare uniforme per cambiare ruolo – Mosca guarda e prende appunti.
Non è difficile immaginare come finirà: un’Ucraina dimezzata, congelata, murata in un’illusione di pace. Con una zona demilitarizzata al posto del fronte e l’eco di un conflitto che nessuno ha davvero voluto fermare.
Il fiume Dnepr diventa così la nuova cartina di tornasole della resa. A ovest, il sogno europeo. A est, il ritorno del blocco.
Una nuova cortina che non è più di ferro, ma di ambiguità.
E se domani qualcuno proverà a passare da una parte all’altra, chissà se troverà una barriera o solo la solita, ipocrita diplomazia armata.