Giorgia Meloni si prepara a varcare la soglia dello Studio Ovale con il passo deciso di chi sa di non potersi permettere passi falsi. L’obiettivo? Portare a casa un accordo sui dazi che faccia felice Roma, ma senza far storcere il naso a Bruxelles. Una missione quasi zen: difendere l’interesse nazionale restando perfettamente dentro i confini dell’europeismo doc.
Giovedì prossimo, con il tailleur ben stirato e il dossier pieno, la premier volerà a Washington per convincere nientemeno che Donald Trump (di nuovo in pole come se gli ultimi quattro anni non fossero mai passati) a immaginare un mondo senza dazi tra Europa e Stati Uniti. Slogan? “Zero per zero”. Più che una formula economica, sembra una canzone di Jovanotti, ma in diplomazia tutto fa brodo.
Il clima, almeno, è meno infuocato rispetto a qualche giorno fa. Lo conferma, con la consueta calma olimpica, Antonio Tajani da Osaka: “La situazione sta migliorando. Meloni non parte per un derby tra nazioni, ma per un’azione condivisa. L’Europa la guarda con fiducia, non con sospetto”. Detto altrimenti: missione benedetta anche da Bruxelles.
Nel frattempo, per non lasciare Giorgia da sola a gestire i mal di pancia tariffari, pure il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, mette piede a Washington. Lì incontrerà il segretario americano Howard Lutnick per la classica partita “tecnica”, che però da Roma viene osservata con interesse e zero gelosie. Anzi, Tajani ci vede il bicchiere mezzo pieno: il rinvio delle tariffe voluto da Trump è un segnale incoraggiante, e si lavora in squadra.
Ovviamente, Meloni non parlerà solo di dogane e codici HS. In cima all’agenda ci sono anche i fronti caldi del momento: Ucraina e Medio Oriente, senza dimenticare la spinosa questione delle spese Nato. Trump vuole che ogni Stato membro investa il 5% del PIL nella difesa. Roma, per ora, si accontenta di un più modesto (ma dignitosissimo) 2%, che – rassicura la Farnesina – verrà annunciato ufficialmente dalla premier. Un passo avanti, e chi lo sa, forse anche un piccolo sacrificio per tenere l’amicizia americana al caldo.
E poi c’è la grande danza geopolitica tra Stati Uniti e Cina, a cui l’Europa guarda spesso con lo stesso entusiasmo con cui si osserva un matrimonio combinato. In questi stessi giorni, il premier spagnolo Pedro Sanchez sarà in Cina. Meloni, invece, rafforza l’asse con Washington, magari proponendo anche di rivedere certi punti del Green Deal – come lo stop alle auto a motore nel 2035 – che in Italia fanno discutere più del Festival di Sanremo. E nel pacchetto ci potrebbe finire pure qualche rassicurazione sulla famigerata web-tax, che negli USA non riscuote applausi.
Per non lasciare spazio a scivoloni, Meloni ha adottato una linea comunicativa sobria. Nessuna uscita a effetto, zero conferenze stampa roboanti: solo studio e preparazione. Come una studentessa modello prima dell’esame di maturità. Del resto, la posta in gioco è alta e tutti i riflettori – italiani ed europei – sono puntati su di lei.
Dopo l’incontro con Trump, Meloni tornerà immediatamente in Italia, dove il 18 aprile è atteso il vicepresidente USA J.D. Vance. E non finisce qui: il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sarà il prossimo a volare oltre oceano per proseguire il dialogo economico con l’omologo americano. “L’Italia si sta muovendo bene”, dice lui. “È un percorso complicato, ma serve trovare una sintesi, una via di mezzo che funzioni tra le democrazie del G7”.
Insomma: Giorgia Meloni parte per l’America con la speranza di tornare con qualcosa di concreto, possibilmente senza dazi e con qualche applauso bipartisan. Non è detto che ci riesca. Ma intanto, va detto: ci prova con metodo, con discrezione e con un certo stile. E in tempi come questi, non è poco.