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La “fabbrica dei leader” dice no a Trump. Cosa sta succendendo nella prestigiosa Harvard?

Sfida aperta tra l’università più potente d’America e l’amministrazione Trump: Harvard rifiuta i diktat ideologici e si ritrova con 2,26 miliardi di fondi bloccati. La libertà accademica entra ufficialmente nel mirino della politica.

In un’America dove la libertà accademica rischia di diventare una voce a piè di pagina, Harvard decide di non piegarsi. E paga caro il prezzo dell’indipendenza. La prestigiosa università del Massachusetts, con un patrimonio da capogiro e una storia più antica degli Stati Uniti stessi, si è vista bloccare 2,26 miliardi di dollari di fondi federali per aver rifiutato di adeguarsi alle richieste dell’amministrazione Trump.

Il messaggio di Donald Trump è arrivato forte e chiaro sul suo social, Truth: se Harvard non rivede i propri programmi secondo i desiderata della Casa Bianca, si valuterà persino la revoca delle esenzioni fiscali. La risposta? Niente compromessi, anche a costo di perdere una fetta importante di finanziamenti.

A differenza della Columbia University, che aveva scelto la via della sottomissione senza però ottenere in cambio il ritorno dei fondi, Harvard ha optato per lo scontro frontale. E ha ingaggiato due legali con pedigree trumpiano – William Burck e Robert Hur – per ribadire che “nessuna università privata può trasformarsi in un’estensione del governo”.

Burck, già consigliere per l’etica della Trump Organization, e Hur, autore di un’inchiesta su Joe Biden (definito con garbo velenoso “un anziano benintenzionato dalla memoria corta”), non sono certo nomi casuali. Ma neanche questo pedigree ha impedito il gelo tra Harvard e Washington.

Rifiutando diktat su assunzioni, iscrizioni e contenuti didattici, l’università ha dato un segnale forte anche ad altre istituzioni che, sotto pressione, sembravano pronte a cedere. Secondo l’ex giudice conservatore J. Michael Luttig, la presa di posizione potrebbe fare da apripista: “È una scelta enorme. Potrebbe cambiare le carte in tavola per tribunali, media, studi legali e chiunque sia nel mirino della Casa Bianca”.

Barack Obama, ex studente tanto di Columbia quanto di Harvard, ha espresso apprezzamento per la sua alma mater in Massachusetts, lodandola per aver resistito a quello che ha definito “un tentativo maldestro e illegittimo di imbavagliare l’autonomia accademica”. Anche i docenti di Yale – unica Ivy League per ora non toccata dai tagli, e università del vice di Trump, J.D. Vance – si sono schierati a favore di Harvard.

Con un endowment (patrimonio finanziario di un università.ndr) di 53 miliardi di dollari e 9 miliardi di fondi federali sotto revisione, l’università fondata nel 1636 è diventata l’obiettivo simbolico della crociata portata avanti da Trump e Stephen Miller per “de-wokizzare” i campus americani. E il campo di battaglia potrebbe presto spostarsi nei tribunali, dove la Casa Bianca spera di trasformare la disputa in uno show sul grande palcoscenico dell’opinione pubblica, mettendo sotto accusa le università viste come covi di antisemitismo, élitismo e repressione del pensiero libero.

Ma Harvard ha deciso di non recitare quella parte.

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