A San Giovanni va in scena il festival parallelo della sinistra benpensante. Sul palco Lucio Corsi, Ermal Meta, BigMama e tutti gli altri: è la solita playlist di chi crede che il cambiamento passi da un monologo e due accordi minori.
È tornato. Puntuale, inevitabile, autoreferenziale. Il Concertone del Primo Maggio si ripresenta come ogni anno in Piazza San Giovanni, pronto a dare l’illusione collettiva che basti una line-up colorata e un claim motivazionale per raddrizzare le sorti di un Paese sfilacciato.
L’edizione 2025, diretta artisticamente da Massimo Bonelli, è promossa come sempre da CGIL, CISL e UIL e organizzata da iCompany, ovvero: le tre sigle che ancora oggi riescono a far sembrare “la musica è cambiamento” una frase nuova.
La conduzione è affidata a Noemi, Ermal Meta e BigMama, un trio pensato per soddisfare ogni nicchia, dal fan del pop impegnato al paladino della body positivity. A impreziosire il tutto, l’ospite cult: Vincenzo Schettini, il prof che ha capito due cose fondamentali nella vita — come si fa un’onda sinusoidale e come si diventa virali spiegandola.
La line-up come specchio dell’Italia che non c’è
Se è vero che ogni festival racconta un Paese, allora quello che racconta il Primo Maggio è un Paese dove tutti leggono poesie su Instagram, nessuno evade le tasse e Lucio Corsi è più popolare di Ultimo.
In scaletta ci sono Alfa, Franco126, Giorgio Poi, Gabry Ponte, Brunori Sas, Gaia, Joan Thiele, Centomilacarie, Bambole di Pezza, Shablo (con ospite, spoiler: non sarà Guè), I Benvegnù, Legno & Gio Evan, e ovviamente Lucio Corsi, che ormai è il totem imprescindibile di questo ecosistema: un po’ glam, un po’ indie, un po’ favola maremmana in camicia da notte. Figuriamoci se poteva mancare.
Tutti diversi, tutti uguali. Nessuna voce che stoni, nessuno che spiazzi. Solo un lungo e accogliente abbraccio sonoro per chi ha già deciso cosa pensare.
Una liturgia perfetta per chi ha sempre ragione
Il Concertone non è un concerto. È una messa laica in cui la sinistra culturale si dà pacche sulle spalle, tra un monologo edificante e un’esibizione ben pettinata. Non si suona per disturbare, ma per confermare. Non si alza la voce, si armonizza.
C’è musica, certo. Ma soprattutto ci sono messaggi, cause, codici estetici e morali precisi. Ogni artista un contenuto, ogni contenuto un valore, ogni valore un posto garantito nella comfort zone progressista.
Il risultato? Una gigantesca eco chamber a cielo aperto, dove il pubblico canta in coro e si commuove per le stesse cose, possibilmente filmando tutto in verticale.
Il futuro suona oggi. Ma sempre nella stessa tonalità
Lo slogan di quest’anno è “Il futuro suona oggi”. Eppure, a sentirlo, questo futuro assomiglia sempre più al passato: stesse facce, stesse intenzioni, stesse scalette. Cambiano i nomi, ma la narrazione è immutabile: il Concertone continua a vendere l’illusione che la musica possa cambiare il mondo, a patto che il mondo sia già d’accordo.
Nessuno urta, nessuno provoca, nessuno rompe il quadro. La ribellione è estetica, i monologhi sono approvati, il dissenso è ben accetto… purché rientri nei 280 caratteri di una caption.
E alla fine, tutti a casa con il filtro “coscienza sociale”
Quando si spegneranno le luci e si raccoglieranno le lattine a terra, resteranno i post: caroselli Instagram, boomerang dal backstage, frasi a effetto su sfondo nero. E l’idea, neanche tanto implicita, che essere stati lì sia già militanza sufficiente.
Perché il Concerto del Primo Maggio, oggi, non è più una celebrazione del lavoro. È una narrazione protetta, costruita da chi si somiglia e si piace. Il Paese reale? Quello guarda, scrolla e passa avanti.
Tanto il giorno dopo non c’è sciopero. C’è solo un altro reel.