Da qualche settimana è comparso un fastidiosissimo e non richiesto bottone collegato all’ai di meta dentro il nostro smartphone sempre pronto ad aiutarci per le ricette dei biscotti fatti in casa o peggio pronto a rispondere alla nostre paranoie incofessabili. Oltre a questo, probabilmente in questi giorni vi arriverà una mail con il seguente oggetto: “Informazioni su come useremo le informazioni dell’utente mentre miglioriamo l’IA di Meta“. Quelle mail che nessuno legge. Quelle che sembrano scritte da un algoritmo che ha studiato diritto, marketing e psicologia comportamentale, ma che alla fine dice un cosa abbastanza inquietante:
“useremo le tue interazioni con le funzioni dell’IA in Meta e le tue informazioni pubbliche come commenti e post”
…perché stiamo costruendo qualcosa di più grande di te. Di più intelligente. E di più addestrato. E lo facciamo, ovviamente, per te. Per migliorare “le esperienze di IA generativa”, perché tu “possa vivere queste esperienze”, perché meriti un algoritmo che ti conosce meglio del tuo analista, del tuo terapista e, soprattutto, della tua coscienza. Meta, l’azienda del “non è sorveglianza se lo firmi tu”, ha deciso che sì, il tuo diritto a non essere una cavia è sacro. Ma solo se ti opponi. Formalmente. Educatamente. Senza disturbare. Come si fa nei migliori regimi liberali, dove la libertà è una porta aperta che però devi prima trovare, poi chiedere il permesso per varcarla, e infine allegare un documento d’identità scannerizzato.
E così ti dicono: “Godi del diritto di opposizione all’uso delle tue informazioni per tali finalità”Che sembra bello, ma detto da chi le sta già usando, suona più come un “Se proprio insisti, forse smetteremo. Forse.”
Certo, puoi esercitare il tuo “diritto di opposizione”.
Ma devi farlo tu, attivamente. Come dire: stiamo mangiando il tuo profilo, ma se non vuoi, puoi sempre togliercelo di bocca.
Con un clic. Un modulo. Un documento. E un atto di fede. Nel frattempo, tutto quello che scrivi su Facebook, Instagram, Threads – anche quella volta che hai risposto “boh ” sotto un reel di tuo cugino che balla male Despacito – potrebbe essere usato per addestrare il prossimo Terminator zuccheroso.
E se ti stai chiedendo se sia etico, legittimo, morale o anche solo decente… be’, ti sei risposto da solo.
Il punto non è che ci usano.
Il punto è che ce lo dicono come se fosse un favore.
E noi, narcotizzati da anni di “accetta tutti i cookie”, siamo diventati professionisti del consenso involontario.
Accettiamo tutto. Anche la nostra estinzione digitale, purché sia gratuita e corredata di sticker animati.
Però attenzione. La porta per scappare c’è, infatti il calce c’è un link al modulo per il diritto all’opposizione. Lì puoi dire a Meta che no, non vuoi che i tuoi post deprimano un’intelligenza artificiale. Compila. Allega. Incrocia le dita.
E preparati, perché tra un po’ arriverà la prossima mail. Quella in cui ti ringrazieranno per aver aiutato a “costruire il futuro”. Perché poi, il vero capolavoro non è l’IA. È la politica subdola del “invece di chiederti se vuoi attivare, attiviamo e basta, poi se ti va male arrangiati”.
Il default è il consenso. Il dissenso è una fatica. Un’impresa burocratica.
Una lotta solitaria contro link nascosti, informative scritte in aramaico giuridico e form da compilare come se stessi chiedendo asilo politico nel metaverso.In un mondo davvero trasparente, dovrebbero scriverti:
“Vuoi partecipare all’addestramento della nostra IA con i tuoi dati personali, post, meme, frasi infelici e scatti al tramonto?”
Spunta qui. Se vuoi. Solo se vuoi.
Invece no. Ti ci buttano dentro. Ti attivano. Ti inglobano.
Poi, se non ti piace, è tutto sulle tue spalle: tu che devi capire, tu che devi trovare il link, tu che devi dire no, in silenzio, educatamente.
È la nuova frontiera della libertà: tecnicamente c’è. Ma devi scavare. E intanto, là fuori, il sistema si nutre.
Sottovoce. Con il tuo consenso silenzioso.