È il volto più inquietante, e purtroppo sempre più diffuso, di un’emergenza che non possiamo più permetterci di ignorare. “Comprendo perché tanti ragazzi, come Filippo Turetta, arrivano a compiere certe azioni”. Queste parole, degne del peggior incubo, sono state scritte da un ragazzo di 23 anni all’ex fidanzata, pochi giorni dopo la fine della loro breve relazione. Parole che non possono e non devono passare per un momento di rabbia. Parole che sono già violenza.
Arrestato per stalking
Il ragazzo, ora arrestato dai carabinieri della provincia di Varese per stalking, non si è limitato a una frase agghiacciante. Ha inondato la ragazza di minacce continue: “Oggi non ne esci viva”, “Tu muori, magari tra vent’anni ma ti ammazzo”. E ancora: “Non giustifico il gesto in sé, ma comprendo e giustifico con tutta la mia forza il motivo”, con un riferimento esplicito al femminicidio di Giulia Cecchettin, assassinata da Filippo Turetta. Qui non si tratta di una generica “gelosia”, ma di un linguaggio già intriso di ossessione, possesso, sopraffazione.
La relazione tra i due era durata appena due mesi. Si era conclusa il 16 aprile, dopo una lite. Da quel momento, per la giovane ventenne, è cominciato un incubo. Messaggi, intimidazioni, minacce di morte. E poi quell’autocelebrazione della violenza, quella frase che non può lasciare spazio a fraintendimenti. Le stesse dinamiche che, ancora una volta, mostrano come i segnali ci siano sempre. Ma troppo spesso si sottovalutano, o si classificano come “sintomi” da ignorare.
L’uomo, già noto alle forze dell’ordine per maltrattamenti nei confronti della madre e del fratello, senza fissa dimora né lavoro stabile, sabato scorso ha raggiunto un nuovo punto di non ritorno. Ha dato in escandescenze al pronto soccorso di Busto Arsizio. Poi ha chiamato lui stesso i carabinieri: “In carcere almeno ho vitto e alloggio, fuori nessuno mi aiuta”. Un gesto che sembra una richiesta d’aiuto, ma che in realtà conferma un’escalation pericolosissima, culminata con l’avvertimento agghiacciante: “Sto andando a casa della ragazza, voglio ucciderla”.
Ora il 23enne si trova in custodia, in attesa dell’interrogatorio di convalida davanti al gip Milton D’Ambra, previsto per domani 23 aprile. A difenderlo sarà l’avvocato Samuele Genoni. Ma al di là delle carte e dei codici, resta la domanda più inquietante: quanto ancora dovremo aspettare prima che minacce così vengano trattate con la stessa urgenza di un’aggressione fisica? Serve davvero che qualcuno compia il gesto, per chiamarlo col suo nome?