Dopo le polemiche su “The Brutalist” ed “Emilia Pérez”, l’uso dell’IA nel cinema divide Hollywood. Intanto, per il cinema italiano potrebbe aprirsi una nuova stagione creativa.
Con l’annuncio delle nomination agli Oscar 2025, il red carpet si è acceso sul dibattito attorno al ruolo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale nell’industria cinematografica. A innescare la miccia sono stati The Brutalist ed Emilia Pérez, due film acclamati dalla critica, che hanno pubblicamente ammesso l’uso di IA generativa per modificare e perfezionare le performance vocali degli attori.
Se da un lato molti considerano l’impiego dell’intelligenza artificiale una naturale evoluzione degli strumenti digitali — già da anni utilizzati in fase di montaggio, color grading o doppiaggio — dall’altro c’è chi vede in queste tecnologie una minaccia all’integrità dell’interpretazione attoriale, alla paternità dell’opera, e più in generale alla dimensione profondamente umana del cinema.
L’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, da parte sua, ha scelto una linea prudente. Niente sanzioni, né favoritismi. In una nota ufficiale ha precisato: “In relazione all’impiego dell’intelligenza artificiale o di altri mezzi tecnologici, tali strumenti non hanno influito né in positivo né in negativo sull’ottenimento delle nomination. Ogni branca dell’Academy valuterà i candidati in base ai risultati artistici, riconoscendo sempre la centralità dell’essere umano nel processo creativo.”
Una posizione, che evita di prendere partito in modo esplicito e rimanda il giudizio ai singoli membri votanti. In sostanza, nessuna linea rossa è stata tracciata: ciò che conta, ribadiscono, è il risultato artistico finale.
Il mondo del cinema però è tutt’altro che unanime. Alcuni registi e attori vedono l’IA come un’opportunità di esplorare nuovi territori creativi. “L’intelligenza artificiale è solo un pennello in più nella tavolozza del regista”, ha dichiarato in un’intervista il regista di The Brutalist, difendendo l’uso di tecnologie che, a suo dire, non sostituiscono l’interpretazione umana, ma la amplificano.
Mentre Hollywood si interroga, il caso apre uno spiraglio interessante anche per il tanto bistrattato cinema italiano. Da anni, infatti, il settore lamenta una cronica scarsità di fondi, tagli al sostegno pubblico e una difficoltà strutturale nel competere con le produzioni internazionali. In questo scenario, l’IA potrebbe diventare un alleato inaspettato: abbattendo i costi di produzione, offrendo strumenti per il doppiaggio automatico, la ricostruzione scenografica, o persino il miglioramento delle performance recitative.
Non sarebbe la prima volta che il nostro cinema trasforma la povertà di mezzi in ricchezza espressiva. Il Neorealismo, dopotutto, è nato attori non professionisti e macchine da presa traballanti, ma ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema mondiale. Se usata con intelligenza — umana — l’intelligenza artificiale potrebbe riportare linfa a una narrazione italiana da troppo tempo compressa tra nostalgia e provincialismo.