Home EDITORIALI 25 aprile: il capitalismo ha ancora bisogno della democrazia?

25 aprile: il capitalismo ha ancora bisogno della democrazia?

Ottant’anni non sono molti. Per la Storia, sono un battito di ciglia. Un tempo troppo breve per sentirsi al sicuro, troppo lungo per restare svegli.

Oggi celebriamo la Liberazione come si accende una candela in una stanza dove la corrente fa i capricci: con un misto di nostalgia, retorica e automatismo. Sui social fioccano le foto in bianco e nero, le frasi attribuite a Pertini, le immagini di partigiani con lo sguardo fiero. Poi si scorre, si posta un meme, si dimentica.

Ma cos’è esattamente il 25 aprile? È la data in cui, nel 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti. Milano, Torino, Genova si sollevarono, e nel giro di pochi giorni le truppe tedesche furono costrette alla ritirata. Fu l’inizio della fine dell’occupazione, e la nascita concreta di un’Italia che voleva tornare libera, repubblicana, democratica.

Quest’anno, poi, ci è stato chiesto di ricordare con sobrietà, in rispetto della scomparsa di Papa Francesco. E va bene così. Perché la memoria autentica non ha bisogno di fuochi d’artificio. La memoria, quando è sincera, parla piano. Ma pesa.

E pesa ancora di più se ci guardiamo intorno.
Il capitalismo globale, oggi, sembra non avere più bisogno della democrazia. Non gli servono parlamenti, Costituzioni, né popoli sovrani. Gli bastano consumatori, piattaforme, algoritmi. E pazienza se per far funzionare tutto servono meno diritti e più silenzio.

Ecco perché – proprio oggi – ha senso ricordare.
Non per un dovere morale. Non per nostalgia. Ma perché, senza quella Resistenza, senza quella gente sporca di fango e di paura che ha scelto di sparare a un mondo ingiusto invece di piegarsi, oggi noi non saremmo qui a scrivere, parlare, votare, scegliere.

Oggi possiamo ancora permetterci la libertà – anche se ci sfugge tra le mani – perché qualcuno, ottant’anni fa, ha deciso che valeva la pena morire per farcela avere.

E allora, anche solo per educazione, oggi si sta in piedi. Sobri, come richiesto. Ma presenti. Si ricorda chi ha resistito. E si fa attenzione, perché il futuro somiglia sempre di più a un passato che credevamo sepolto.

La memoria, se ben usata, è una trincea. Ed è meglio tenerla stretta.

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