Home EDITORIALI Il Conclave: tra la Chiesa della visibilità e la Chiesa della verità.

Il Conclave: tra la Chiesa della visibilità e la Chiesa della verità.

A vederlo da casa, sembra quasi un film di Sorrentino: cardinali in posa, camminate lente, mani intrecciate sul petto. Ogni sera, i telegiornali trasmettono immagini che una volta sarebbero state proibite: scorci di corridoi sacri, cappelle laterali, angoli di quello che, per secoli, è stato il teatro più chiuso della storia della Chiesa. Ora, invece, il Conclave somiglia a un reality show patinato, dove ognuno gioca la sua parte e il mistero lascia spazio alla regia.

Il termine stesso conclave, dal latino cum clave — “con chiave” — dice tutto: chiudersi dentro, separarsi dal mondo, custodire un segreto sacrale, non trasformarsi in uno spettacolo televisivo. Dopo la morte di un Papa, i cardinali si serravano a chiave per pregare, riflettere, scegliere guidati dallo Spirito Santo e non dagli applausi.
Dal 1274, quando Gregorio X istituzionalizzò il Conclave dopo la lunghissima sede vacante di Viterbo, l’isolamento era d’obbligo: niente contatti, niente influenze, niente clamore.

Oggi? Oggi la situazione sembrerebbe totalmente diversa, i tempi cambiano anche per la Chiesa. I cardinali rilasciano brevi dichiarazioni, studiate come trailer di un film. Le telecamere riprendono dove prima regnava il silenzio. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni sorriso sembra calibrato per la diretta. I cronisti commentano in tempo reale, come fossero inviati al Festival di Sanremo. E ogni tanto, tra le pieghe della cronaca, qualcuno si chiede: è ancora sacro, tutto questo?

Non che il Conclave sia mai stato immune dalle strategie.
Nel 1978, durante l’anno dei “tre papi” (Montini, Luciani e Wojtyla), dopo la morte improvvisa di Giovanni Paolo I, il Conclave che elesse Karol Wojtyla fu segnato da fortissime tensioni interne. I cardinali progressisti e quelli conservatori si fronteggiarono in un clima teso, tra votazioni rapidissime e manovre discrete.
Nel 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II, il Conclave che portò all’elezione di Benedetto XVI si chiuse in sole quattro votazioni, con Joseph Ratzinger che, da decano del Sacro Collegio, partiva da favorito. Anche allora, tutto avvenne lontano dagli occhi del mondo: pochi sapevano, molto si intuiva, tutto si immaginava.

Oggi, invece, l’immaginazione non serve più: ci sono le immagini in diretta, le infografiche, le analisi algoritmiche, le previsioni di chat gpt, gli streaming live e i palinsenti sono ingolfati di documentari e approfondimenti sui profili dei cardinali.
Una trasparenza che sa più di intrusione che di apertura. Una voglia di partecipazione che rischia di svuotare di senso il rito stesso?

Papa Francesco aveva sognato una Chiesa più vicina alla gente, più umile, meno rigida. Una Chiesa semplice, al servizio degli ultimi. Ma era anche un uomo capace di custodire il silenzio, di rispettare la zona d’ombra dove la fede matura lontano dagli applausi.
Era davvero questa la Chiesa che voleva? Una Chiesa che parla a tutti, o una Chiesa che si mette in vetrina?

Ora resta da vedere se il Conclave produrrà un “Francesco Secondo”, capace di proseguire sulla linea della misericordia e della riforma, o se tornerà a scegliere un successore di Pietro deciso a spegnere i riflettori, chiudere le porte, e riprendersi il mistero.

Nel cuore del Vaticano si gioca una partita antica come il mondo: tra la tentazione di piacere e la forza di essere.
Tra la Chiesa della visibilità e la Chiesa della verità.

E stavolta, più che mai, la scelta non riguarda solo loro.

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